Da proprietario di un negozio di fumetti a una delle penne più contese del comicdom, ecco una chiacchierata con Donny Cates, neosposo a Lucca Comics & Games
Donny Cates (destra) e Daniel Warren Johnson (sinistra)
Fino a un paio di anni fa, in pochi avevano sentito il nome dello scrittore di fumetti Donny Cates. Ancora meno persone avrebbero immaginato che, dopo una miniserie come Ghost Fleet, costretta a terminare prima dei 12 numeri previsti per le poche vendite nonostante la sua pregevolezza, il 35enne texano sarebbe diventato il golden boy dei comics di supereroi, con ampio numero di serie affidate alla sua penna, tra grandi editori ed etichette indipendenti.
Ora Ghost Fleet è arrivata in Italia con SaldaPress, una storia su un convoglio che trasporta misteriosi artefatti in cui i testi di Cates e le matite di Daniel Warren Johnson spingono al massimo, al grido di “Go big or fail big” . Una storia di apocalisse annunciata sempre sopra le righe che ben si addice allo ribelle spirito del giovane dai capelli ossigenati che ha deciso di venire a Lucca Comics & Games e sposare nella cittadina toscana la disegnatrice Megan Hutchison. Sulla torta, in onore di uno degli amori fumettistici di Cates, campeggiava una sposa ricoperta del simbionte di Venom.
So… Ummm… @Doncates & @blackem_art‘s wedding cake. I can’t stop laughing. pic.twitter.com/FOp3qriYwJ
— Matthew Rosenberg (@AshcanPress) October 31, 2019
Sì, perché Venom è una delle tante testate della Marvel Comics affidate all’estro dell’autore texano, impegnata ora negli States nel crossover Absolute Carnage, che ridefinirà il personaggio negli anni a venire. Per la cura Cates sono passate tante serie, come Dottor Strange, i Guardiani della galassia, Thanos e Silver Surfer. E in vista c’è anche il rilancio di Thor, dopo anni della potente gestione di Jason Aaron.
Ma Donny Cates non scrive solo storie fracassone di supereroi. Con Babyteeth e Redneck (per Aftershock e Image Skybound, in Italia sempre per SaldaPress) si avventura nei risvolti psicologici del sovrannaturale: da un lato con la nascita dell’Anticristo, dall’altra con vampiri texani isolazionisti. Il focus cui tutto ruota: la famiglia, sempre e comunque.
Un paio di giorni dopo i festeggiamenti del matrimonio, abbiamo incontrato Donny Cates, birra in mano, felpa di Venom indosso e risata facile, rubando qualche minuto alla sua sessione di firme a Lucca Comics & Games.
Donny, partiamo dal tuo arrivo in Italia con Ghost Fleet. Come ti è venuta l’idea di un convoglio fantasma che protegge artefatti magici in movimento?
“In realtà non è una mia idea, ma un fatto reale. Nasce tutto mentre stavo guardando un programma di History Channel sulle cospirazioni: quando il governo deve trasportare del materiale segreto, arruolano questa flotta di autisti conosciuta come Ghost Fleet. È vera! Non sono tracciabili dai radar, non possono essere fermati e neppure la scorta di Suv che circonda il convoglio conosce cosa stiano davvero trasportando. Nella vita reale magari si tratta di componenti per la Nasa o simili, nulla di spaventoso. Ma guardando questo programma mi è subito venuto in mente Indiana Jones. Davanti alla televisione, mi sono rivolto all’amico accanto a me: ‘ti ricordi la fine dei Predatori dell’arca perduta, quando mostrano il deposito pieno di robe segrete? Questi sono i tizi che le trasportano!’.
“Era una storia davvero tosta e io sono ossessionato da cose come questa. Quando ho iniziato a lavorarci con Daniel Warren Johnson si sono poi sovrapposti più livelli. All’inizio doveva essere la nostra versione a fumetti di un grande film d’azione, un’ode a John Carpenter, ma poi è si aggiunta una componente più sentimentale (chi ha letto i fumetti di Dan, sa quanto cuore metta nelle storie). Dan si era entusiasmato all’idea del tradimento tra due fratelli (anche se alla fine sono diventati due amici), uno dei quali si rende conto di essere diventato il cattivo della storia. Ruba uno di questi convogli per ferire l’altro, portandosi dietro questo bagaglio di odio. Riesce a metterselo alle spalle solo aprendo simbolicamente il carico e abbracciandone le conseguenze. Tutto questo viene da Dan, io volevo solo scrivere una storia figa sui convogli [ride]”.
Senza fare spoiler, il finale già si conosce dal primo capitolo: l’apocalisse in terra…
“Il nome del primo capitolo è proprio La fine e, senza rendercene conto, ci siamo fottuti da soli. Alla fine del primo numero si mostra come finirà la storia: Trace, uno dei due protagonisti, è a New York, circondato dal caos. Be’, la serie sarebbe dovuta essere di 12 numeri, ma intorno al sesto ci hanno detto che sarebbe stata cancellata e avremmo dovuto chiudere tutto in tre numeri. A quel punto della storia non erano neanche lontanamente vicini a New York, senza un modo credibile per farci arrivare i personaggi. Per fortuna ho pensato che si trovavano vicino a Las Vegas, dove in effetti c’è una piccola New York, e abbiamo deciso di ambientare il finale proprio lì. Mi auguro solo che non si noti una rottura e che tutto scorra senza problemi anche se abbiamo dovuto accorciare la storia”.
Da lettore ignaro sembrava addirittura voluto. Sono questi colpi di genio ad averti fatto arrivare alla vetta, tra editori indipendenti e non?
“No, è pura fortuna [sospira]. Sai, gestivo diversi negozi di fumetti. Il mio sogno era proprio quello: aprire una fumetteria, perché ero cresciuto in negozi di questo tipo, erano un posto sicuro. Sarei voluto anche diventare un artista: ho sempre disegnato ma il mio pallino era la scultura. Non avevamo molti soldi, le stauette di Venom che volevo costavano molto, quindi me le costruivo. In molti pensano che racconti balle, ma ero davvero un grande fan di Venom, sin dalla sua prima apparizione. Per me gestire quattro fumetterie a Austin, in Texas, era un sogno. Intorno al 2007, però, il proprietario fu coinvolto in appropriazione indebita e chiusero tutti. Riuscii però ad aprirne uno mio, ma una macchina ci si schiantò dentro. Un tipo ubriaco stava cercando di insegnare alla sua ragazza come guidare con il cambio manuale ma, invece di mettere la retromarcia, partì in avanti e distrusse il negozio.
(foto: SaldaPress)
“Ero senza lavoro, senza soldi e senza il mio sogno. Non avevo alcuna abilità particolare a parte conoscere i fumetti. Così mi sono detto ‘fanculo, proviamoci’ e mi sono iscritto a un’Art School a Savannah, in Georgia. Mi sono ritrovato in classe con artisti come Geoff Shaw (con cui poi ho fatto Thanos Wins e Guardians of the Galaxy) e Tradd Moore. Vedere quanto fossero bravi loro mi ha fatto realizzare che sarebbe stata dura essere al loro livello. Nel frattempo dovevo seguire un corso obbligatorio di scrittura: il mio insegnante mi prese da parte e mi disse che sarei potuto essere molto bravo come sceneggiatore. Io non avevo mai scritto due parole in fila in tutta la mia vita.
“Semplicemente iniziai a provarci, usando i soldi della borsa di studio che avevo per pagare disegnatori che illustrassero le mie storie. E piano piano tutto è arrivato a valanga, fumetto dopo fumetto. God Country per la Image, realizzato insieme a Geoff, piacque molto ad Axel Alonso [ex editor-in-chief della Marvel Comics]. Mi chiamarono perché avevano bisogno che qualcuno scrivesse Thanos immediatamente.
“Ecco dove entra la fortuna in tutto questo. C’è molto lavoro, ma serve la buona sorte. Io amo Thanos, quindi accettai subito. Ma la vera ragione, e questo l’ho scoperto dopo, è che Alonso era già convinto da allora che sarei stato il prossimo scrittore di Thor. Dovevano incastrarmi per un periodo sufficientemente lungo perché non andassi da altri editori. Sono ormai tre anni che so che avrei scritto Thor dopo Jason Aaron e tenerlo segreto è stata la cosa più difficile del mondo!”.
Ma non c’è solo Marvel. Come scrittore ti destreggi anche sul campo dei fumetti creator-owned. Quali differenze ci sono tra i due approcci?
“Uso sempre questa metafora: è come giocare lo stesso sport, ma in diversi ruoli nel team. Nel caso del football: è come passare da quaterback a kicker e viceversa. Alla fine devo sempre stare di fronte a un computer a immaginare che cosa faranno dei personaggi e quale sia il significato della storia. Il cuore del lavoro non cambia: ovviamente con la Marvel ci sono più persone coinvolte, ma questo non significa meno libertà. Onestamente, leggendo i miei lavori per loro si può vedere che non mi dicono no molto spesso. Tante volte ho presentato un’idea con la convinzione che sarebbe stata respinta e alla fine invece veniva accettata.
“Con qualcosa come Redneck e Babyteeth, però, io sono Dio. Posso fare ciò che voglio. I personaggi della Marvel appartengono alla casa editrice e io sto giocando con un universo condiviso. Con Image e Aftershock, invece, ho il mio universo e c’è maggiore libertà. Certo però fa anche paura, perché non c’è una rete di salvataggio. Testate come Venom o Thor non corrono il rischio di chiudere: puoi creare storie pazzesche senza correre rischi. Con gli editori indipendenti, invece, puoi folleggiare quanto vuoi, ma se va male la colpa è tua.
Sono diversi gradi di libertà, in fondo”.
A sentire grandi autori ospiti qui a Lucca, come Chris Claremont e Jim Starlin, si percepisce dell’amarezza nei confronti dei fumetti contemporanei: loro hanno creato moltissimi personaggi di grande successo, ma alla fine il risultato del loro lavoro è tutto delle case editrici. Soprattutto dopo lo spartiacque degli anni Novanta, ormai un giovane scrittore a più consapevolezza di questi meccanismi?
“Per Claremont e Starlin non esisteva una Image Comics, una sponda dove poter avere i diritti completi di ciò che creavano. C’è una disuguaglianza tra ciò che hanno creato e quello che hanno ricevuto in cambio, e su questo sono sempre dal lato degli artisti. Ho pubblicato per Image e Aftershock proprio per avere i diritti di ciò che produco. Detto questo, diverse persone che avevano lavorato con Marvel mi hanno chiamato per sconsigliarmi di dar loro nuove idee, perché ne avrebbero tratto vantaggio solo loro. Onestamente, però, non voglio scrivere con una mano legata dietro la schiena. Sono adulto, so quali sono i termini del contratto.
“Se il Ghost Rider Cosmico diventasse il nuovo Thanos, non mi lamenterei. Accade in ogni settore: vale per i musicisti, gli attori al cinema e in tv… Abbiamo ben presente che cosa significhi fare i freelance. La pensione la costruisco con la Image e con tutte le creazioni di cui possiedo i diritti. La Marvel è la mia famiglia, ma arriverà il giorno in cui la ruota girerà, ci sarà un nuovo golden boy e il mio telefono smetterà di suonare. Funziona così, non c’è nulla di strano. Alcuni dicono che alla Marvel aiuti a costruire una casa in cui non abiterai mai. A me sta bene, e sai perché? Perché chi costruisce le case di solito lo fa per gli altri, perché è il loro lavoro [ride]. Mi sta bene costruire una casa per altri, ma nel frattempo io mi tirerò su un bel castello“.
A proposito di case e castelli, tu sei molto legato alla tua terra, il Texas…
“Il Texas per me rappresenta la famiglia e.. diamine, sarò politico per un momento: il Texas non è conosciuto per essere molto tollerante. Ci sono molti pregiudizi a riguardo. Da bambino leggevo tutti i fumetti Marvel e quelli di Capitan America mi hanno insegnato che puoi amare un posto e odiare la sua politica. Questo addirittura può fare di te un patriota ancora più grande. Io amo il Texas e gli Usa, ma sono un luogo e un luogo non è la sua politica.
“Ogni opera ambientata nel Texas contemporaneo mostra le persone come stupide, ignoranti e razziste. Ma questo non è il mio Texas: il mio Texas è famiglia, accettazione e amore. Siamo il luogo più amichevole al mondo. Forse è perché siamo tutti armati [ride]. Noi texani siamo molto orgogliosi del nostro stato e voglio scrivere di ciò che il Texas rappresenta davvero.
“A questo riguardo nel mondo del fumetto si racconta una storia su Stan Lee e sua moglie Joanie. Stan all’epoca scriveva fumetti romantici e western e non ne poteva più. Joanie gli disse: ‘perché non scrivi quello che davvero è importante per te, prima di mollare tutto?’. Subito dopo Stan pubblicò i Fantastici quattro, gli Avengers, Thor, Hulk, gli X-Men, Spider-Man… Anche io ho attraversato un momento simile, subito dopo la cancellazione di Ghost Fleet e Payback. Ma a quel punto pensai proprio alla storia di Stan e Joanie. Iniziai quindi a scrivere di ciò che mi piaceva: Texas, vampiri, dèi alla Jack Kirby… Onestamente penso che ai lettori siano piaciute queste storie perché per la prima volta nella mia carriera ero onesto, parlavo col cuore e non cercavo di essere nessun altro”.
E a proposito di scrittura… Prossimi progetti?
“Negli Stati Uniti sto finendo Absolute Carnage, porterò a termine il mio ciclo dei Guardiani della galassia (che mi ha fatto capire quanto non sia uno scrittore di gruppi, preferisco focalizzarmi su un singolo personaggio) e continuerò a scrivere Venom per anni anni e anni, visto che ho grandi piani. Da gennaio mi dedicherò a Thor, il più grande onore della mia vita anche se sono maledettamente terrorizzato. Tieni presente che Jason Aaron è il mio scrittore preferito e sta terminando la storia definitiva del dio del tuono. Ovviamente non scriverò il Thor di Jason, ma quello di Donny. È ciò che vuole la Marvel e prima o poi doveva toccare a qualcuno. Jason è stato molto di aiuto, ma non vuole interferire. Proprio il giorno del mio matrimonio mi ha mandato un messaggio per dirmi che aveva scritto l’ultima storia di Thor. ‘Ora è tutto tuo’, ha scritto. È un messaggio che conserverò con affetto.
Per quanto riguarda i progetti indipendenti, invece?
“Non posso dir molto, ma lancerò due nuove serie: una disegnata da Geoff Shaw e l’altra invece sarà disegnata da mia moglie Meggan. E poi alcune altre robe segrete di cui non posso parlare…”.
Prima di lasciarti ai fan, un’ultima domanda. Di recente hai ricevuto attacchi sui social media per il personaggio di Cosmic Ghost Rider. Alcuni lettori ti accusavano di averlo copiato da Jim Valentino, che nel 1991 aveva creato uno Spirito della vendetta spaziale. Lo stesso Valentino ha sollevato ogni dubbio, affermato che capita si arrivi a idee simili. Dopo questa disavventura è cambiata la tua attitudine rispetto ai social network?
“No, odiavo i social media già prima di tutta la questione…! [ride] I fan prendono molto sul serio i personaggi e decidono da soli la veridicità di alcune storie. Lo capisco, avevo una fumetteria e sono un appassionato da sempre. Onestamente non me la sono mai presa per le opinioni sulle storie che ho scritto: se non ti piacciono, non è un problema, perché le storie e i personaggi alla fine appartengono ai lettori. Ma Cosmic Ghost Rider è mio! Ho creato quel Ghost Rider e combatto su questo perché ero lì quando l’ho creato. E sai perché? Perché è successo nella mia testa [ride]. Quello che cerco di dire è che non ho rubato un’idea a qualcuno. Jim Valentino è uno dei miei eroi e non ho copiato un suo personaggio: è stata una coincidenza. Ho creato io il Punitore? No. Ho creato io Ghost Rider? No. Ma Cosmic Ghost Rider? Sì, li ho combinati io. Allo stesso modo, Jason Aaron non ha inventato né Thor, né Jane Foster, ma ha avuto il genio di fonderli insieme nello stesso personaggio”.
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