È morto all’età di 48 anni il compositore, direttore d’orchestra e pianista a cui dal 2011 era stata diagnosticata una malattia neurodegenerativa
(foto: Getty Images)
È morto all’età di 48 anni Ezio Bosso, direttore d’orchestra, compositore e pianista noto per le sue straordinarie capacità di emozionare attraverso la musica. Nato a Torino il 13 settembre 1971 in una famiglia con numerosi musicisti, Bosso si era avvicinato fin dai 4 anni a quella che sarebbe divenuta la passione di una vita; dopo una formazione internazionale, che lo porta a studiare anche all’Accademia di Vienna, inizia una carriera di grande prestigio, che continua anche dopo che nel 2011, dopo un intervento per un tumore al cervello, gli viene diagnosticata una malattia neurodegenerativa.
Negli ultimi anni Bosso aveva continuato la sua attività di composizione e si era esibito anche in diversi concerti in tutto il mondo. La notorietà al grande pubblico arriva con un’esibizione al festival di Sanremo nel 2016, sfociata poi in diverse partecipazioni televisive e anche nei due speciali musicali andati in onda nel 2019 su Rai3 e intitolati Che storia è la musica. Nel settembre dello stesso anno, però, il musicista annuncia il ritiro dalle scene, dovendo ammettere che i problemi causati dalla malattia avevano compromesso l’uso delle mani e la sua capacità di “dare abbastanza al pianoforte“.
La sua ultima intervista risale allo scorso aprile, rilasciata al Corriere della sera, che gli aveva chiesto di commentare la situazione del lockdown imposta dal coronavirus: “La malattia mi ha allenato a soste forzate ben peggiori. Stavolta però non è il mio corpo a trattenermi ma qualcosa di esterno, collettivo, misterioso. Sono giorni strani, il tempo e lo spazio si sono fatti elastici“, aveva dichiarato Bosso, facendo sua anche la preoccupazione per i colleghi in difficoltà per i blocchi imposti dalla pandemia: “Mi mancano i musicisti della mia Europe Philharmonic Orchestra, loro sono i miei fratelli, i miei figli. Alcuni di loro stanno vivendo un periodo di grande sofferenza, non possono più suonare, non hanno più un reddito“.
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