Vedere per credere. A offrirci oggi una visuale senza precedenti dell’hiv sono stati i ricercatori della University of Utah Health. La loro scoperta ci aiuterà a comprendere meglio le prime fasi dell’infezione e a sviluppare potenziali nuovi farmaci contro l’Aids
Ci abbiamo provato per decenni, e oggi finalmente ci siamo riusciti. Abbiamo osservato da vicino, anzi da vicinissimo l’hiv (virus dell’immunodeficienza umana), il virus che causa l’Aids (sindrome da immunodeficienza acquisita), con un dettaglio e una precisione senza precedenti. A riuscire nell’impresa sono stati i ricercatori della University of Utah Health che in un nuovo studio raccontano di aver ricreato in provetta i primi passi dell’infezione dell’hiv, individuando i componenti essenziali che il virus deve replicare all’interno del suo ospite, l’essere umano. I loro risultati, appena pubblicati su Science, offrono una nuova comprensione di come funziona questo virus e saranno quindi preziosi per poter sviluppare farmaci e terapie miglio per l‘Aids.
L’hiv, spiegano i ricercatori, è apparentemente semplice: assomiglia a un cono arrotondato, coperto da un’involucro proteico, una sorta di guscio (il capside), che racchiude il materiale genetico all’interno e che, finora, si pensava avesse solamente una funzione protettiva. Nel nuovo studio, invece, i ricercatori hanno osservato che questo guscio svolge un’importante ruolo anche nelle fasi iniziali dell’infezione. In particolare, hanno scoperto che quando, tramite metodi genetici e biochimici, si destabilizzava il capside, l’hiv non riusciva a replicare efficacemente il suo materiale genetico. “Questo studio ci sta insegnando come l’hiv infetta”, spiega Wesley I. Sundquist, tra gli autori dello studio. “Stiamo imparando cose nuove su uno dei patogeni più significativi che gli esseri umani abbiano mai incontrato, e questo è davvero importante”.
Per far luce sulle prime fasi del ciclo di vita dell’hiv, i ricercatori si sono serviti di due innovative tecniche, la microscopia crioelettronica e il modeling molecolare, riuscendo a osservare il virus (circa 60 volte più piccolo di un globulo rosso) in modo estremamente dettagliato e a fornire la prima dimostrazione diretta che il capside non è solo una protezione, ma anzi una importante componente nel processo infettivo.
Monitorando ciascuna delle 240 minuscole tesserine proteiche che si incastrano per formare il capside, infatti, i ricercatori hanno dimostrato che il guscio è rimasto in gran parte intatto durante il processo di replicazione, chiamato trascrizione inversa. Identificata nei retrovirus, come appunto l’hiv, viene utilizzata per copiare le informazioni del genoma (rna) in una molecola di dna, in modo tale da potersi inserire nel genoma della cellula ospite. “I libri di testo dicono altro”, commentano gli autori. “I nostri dati indicano che il capside virale svolge un ruolo attivo e indispensabile nel supportare una trascrizione inversa efficiente”.
I risultati, inoltre, potrebbero aiutare a spiegare il perché un farmaco sperimentale contro l’hiv, il primo a prendere di mira il capside, si è dimostrato efficace nell’inibire il virus negli studi clinici di fase 1. Ulteriori informazioni, spiegano i ricercatori, potrebbero migliorare ulteriormente lo sviluppo di potenziali nuovi farmaci contro l’hiv. “Oltre a una miglior conoscenza del virus, i risultati potrebbero aiutarci a trovare modi nuovi e migliori per fermare l’hiv”, concludono gli autori.
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