Nonostante le promesse del governo italiano, il Memorandum d’Intesa non è cambiato e il 2 febbraio scatta la sua proroga. Servirà tempo e una delicata operazione diplomatica, mentre la situazione continua a peggiorare
(foto: MAHMUD TURKIA/AFP via Getty Images)
Domenica 2 febbraio scatterà ufficialmente la proroga senza modifiche del cosiddetto “Memorandum di intesa tra Italia e Libia”, l’accordo stipulato nel 2017 tra il governo Gentiloni e l’esecutivo libico di unità nazionale guidato da Fayez al Serraj. Nei suoi primi tre anni di applicazione, il documento era stato oggetto di numerose critiche, incentrate perlopiù sulle violazioni dei diritti umani commesse dalla Guardia Costiera libica, una forza di sicurezza pesantemente infiltrata da milizie dismesse e trafficanti di uomini, attivamente finanziata, addestrata e legittimata dall’Italia.
Nonostante entrambe le sponde del Mediterraneo avessero dimostrato di non voler rinunciare agli accordi, nello scorso mese di novembre la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha fatto valere una clausola del contratto che ne permetterebbe la rinegoziazione, ma le trattative sono al momento in una fase di stallo e la controparte libica non sembra particolarmente interessata a facilitare il processo.
Le criticità dei centri di detenzione
L’aspetto più divisivo dell’intesa italo-libica è quello che riguarda la gestione dei centri di detenzione, vere e proprie carceri di stato dove i migranti senza documenti vengono sottoposti a reclusione arbitraria e indefinita. In un rapporto pubblicato dall’Onu lo scorso 15 gennaio, il segretario generale Antonio Guterres rinnova le sue preoccupazioni per le condizioni dei migranti prigionieri nel paese africano, riferendo di sparizioni, esecuzioni e torture.
“L’esperienza di questi tre anni ci ha convinti della necessità di risolvere le criticità, proprio ad iniziare dall’urgente questione dei centri” ha spiegato Lamorgese, riferendo alla Camera lo scorso 6 novembre. Come? “Promuovendo l’intervento delle agenzie delle Nazioni Unite e il coinvolgimento di un ampio numero di Paesi e organizzazioni non governative”.
Sebbene non inserita esplicitamente nel Memorandum, quella di appaltare la vigilanza sul rispetto dei diritti umani a organismi terzi non è esattamente una novità nel dibattito sugli accordi, ma ogni tentativo in tal senso si è infranto contro il muro della reticenza libica.
Attualmente i centri di detenzione accessibili da Onu, Oim e organizzazioni umanitarie sono in tutto tre, a fronte dei 19 gestiti direttamente dal governo libico. Non possediamo invece dati certi sul numero di prigioni ufficiose.
Tra le criticità sollevate dalla missione di sostegno delle Nazioni Unite, c’è poi la presunta compromissione di alcuni pezzi dell’entità statale libica. In un dossier pubblicato nel settembre scorso, le agenzie inviate sul campo a Tripoli denunciavano infatti il coinvolgimento di funzionari statali nell’operazione di compravendita dei migranti, un meccanismo criminale che oggi come allora vedrebbe nelle “operazioni di salvataggio” effettuate dai guardacoste l’elemento cardine.
“Ritengo che il Memorandum possa essere sviluppato attraverso ulteriori interventi” aveva rassicurato ancora in Parlamento la ministra Lamorgese, “rafforzando, in primo luogo, le iniziative volte alla tutela dei diritti umani, al rispetto della dignità delle persone e responsabilizzando al riguardo anche le autorità libiche competenti in materia”. Una serie di aggiustamenti da discutere nella commissione congiunta italo-libica convocata per i primi di novembre, ma di cui al momento non c’è traccia.
Lo stallo nelle trattative
Come spiega ad Avvenire il viceministro degli Esteri Marina Sereni, la scadenza del 2 febbraio non rappresenta il termine definitivo per rivedere gli accordi, ma nessun tavolo negoziale è ancora stato avviato.
La difficoltà maggiore, al momento, risiede nell’instabilità dello scenario libico, ancora terreno di scontro dopo il fallimento della Conferenza di Berlino e la violazione del cessate il fuoco da parte delle milizie fedeli ad Haftar. Per questo Italia e Libia valutano autonomamente le modifiche da proporre al Memorandum, ognuno con una propria commissione (quella italiana è in dirittura d’arrivo e si aspetta solo l’ok della Farnesina), ma senza una data ufficiale per il confronto diretto.
Intanto dall’inizio dell’anno a oggi sono quasi mille le persone intercettate in mare e condotte nei centri di detenzione libici, che si vanno ad aggiungere agli oltre 600mila tra migranti e rifugiati già presenti nel paese. Persone detenute in un contesto di guerre civile, come sa bene l’agenzia Onu per i Rifugiati, che nei giorni scorsi è stata costretta ad abbandonare la struttura di raccolta e partenza di Tripoli.
Gli accordi tra Italia e Libia sono ancora intatti e per migliorarli ci vorrà tempo e una delicata operazione diplomatica. Ma il tempo, questa volta, non è dalla parte di nessuno.
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