Per restare nel Play Store, tutti dovranno usare il sistema di pagamento di Google.
Viene da chiedersi se il pensiero «Se lo fa Apple, deve essere un’idea furba» non sia così radicato da spingere a imitare l’azienda di Cupertino anche quando essa stessa si trova nei guai a causa delle sue scelte.
A spingere a questa riflessione è Google, che di recente ha annunciato come, prossimamente, tutte le app disponibili sul Play Store debbano per forza adoperare il sistema di pagamento di Google, oppure lasciare la piattaforma.
In realtà tale obbligo sarebbe già in vigore, ma a quanto pare la policy è poco chiara, e ciò ha consentito ad alcuni sviluppatori di adoperare sistemi alternativi per ricevere i pagamenti dagli utenti.
Infatti grandi realtà come Netflix o Spotify hanno sempre utilizzato sistemi di pagamento propri, traendone un vantaggio preciso.
Se non si usa il sistema di gestione dei pagamenti di Google, infatti, si evita di dover versare al gigante di Mountain View il 30% della cifra incassata dall’utente, ossia esattamente ciò che succede sull’App Store di Apple e che è causa del lungo braccio di ferro (anche legale) con Epic Games.
Costringendo gli sviluppatori a utilizzare il proprio sistema di pagamento, Google si pone quindi nella stessa condizione di Apple: pretenderà il 30% di ogni vendita, e magari si metterà nei guai con qualcuno sufficientemente grande da pensare di poterle muovere guerra.
Forse non ci sarà un produttore di app tanto audace; eppure Epic Games, già cacciata in agosto anche dal Play Store per lo stesso motivo per cui era stato cacciata dall’App Store, ha già intentato una causa contro Google per il trattamento riservatole.
I padroni dei due ecosistemi per smartphone più diffusi stanno insomma restringendo un po’ lo spazio di manovra per chi opera all’interno dei loro recinti, anche se bisogna notare come la maggior parte già segua le linee guida: nel caso di Google, per esempio, il sistema di pagamento che diventerà obbligatorio è già usato dal 97% delle app.
Nonostante la diffusione, però, non sono pochi gli sviluppatori che mugugnano nel dover pagare quella che ritengono una «tassa digitale» forse anche giusta ma eccessiva, che impedisce loro di competere con i concorrenti, soprattutto se questi ultimi hanno alle spalle aziende di dimensioni superiori alle loro.
È nata proprio in seguito a questa situazione la Coalition for App Fairness, che comprende svariati membri tra cui Spotify, Basecamp, Epic Games e Match Group (che produce Tinder e Hinge), e con la speranza di riuscire a raggiungere un accordo con Apple e Google. Segni positivi in questo senso, però, al momento non ce ne sono; anzi, la direzione intrapresa pare proprio opposta.
L’obbligo per gli sviluppatori di app per Android scatterà il 30 settembre 2021; dopo quella data, le app che non si saranno allineate dovranno lasciare il Play Store.