La voce del virus creato in laboratorio continua a circolare, nonostante i pareri contrari della comunità scientifica, e in un’ottica di politica populista, non è difficile capire come mai
Da quando il Covid-19 ha iniziato a diffondersi nel mondo occidentale, alla priorità di contenerne la violenza si è affiancata, per certa politica, la priorità di dimostrarne la sua creazione in laboratorio. Lo ha detto più volte il presidente americano Donald Trump, lo hanno rilanciato i populisti del vecchio continente – su tutti gli italiani Matteo Salvini e Giorgia Meloni, con video ripescati fuori dal 2015 e efficacemente decontestualizzati -, continuano a ripeterlo catene di WhatsApp e video su YouTube di gente che è tutto tranne che esperta in virologia. L’artificialità del virus è diventato il vaccino allo stesso, come se nel momento in cui dovesse essere confermata la sua creazione nel celebre laboratorio di Wuhan, saremmo d’improvviso tutti salvi, pronti a ricominciare le nostre vite normali.
È forse per questo che mentre ogni giorno la scienza smentisce le castronerie dette in proposito dal politico o dal complottista di turno, le castronerie dette in proposito dal politico o dal complottista di turno si prendono comunque la scena, soffocando l’unica fonte affidabile quando si tratta di temi così delicati, gli scienziati appunto. “Ci sono numerose prove sul fatto che il coronavirus arrivi dal laboratorio di virologia di Wuhan”, ha annunciato qualche giorno fa il Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo. “Sì, sono certo che il Covid-19 venga dal laboratorio di Wuhan”, ha ribadito il presidente Donald Trump. In questi mesi di pandemia, la natura artificiale del virus era stata solo accennata, sussurrata, ipotizzata, mai si era arrivati a una tale presa di posizione, con tanto di annuncio ufficiale da parte della maggior potenza mondiale. Annuncio prontamente smentito, non solo da chi già aveva smentito le bufale precedenti, ma anche da chi lavora direttamente a contatto con la stessa amministrazione Usa.
L’intelligence americana ha dichiarato di “concordare con il largo consenso scientifico che il virus non è stato prodotto dall’uomo o geneticamente modificato”. Il massimo esperto americano di malattie infettive e membro della task force della Casa Bianca, Anthony Fauci, ha ribadito che “le prove scientifiche vanno fortemente nella direzione che il virus non avrebbe potuto essere manipolato artificialmente o deliberatamente”. Una presa di posizione che si aggiunge a quella della quasi totalità della comunità scientifica, mentre i pochi detrattori – come quel Luc Montagnier da qualche tempo convertitosi all’omeopatia e alle cure a base di papaya – hanno esposto le loro teorie controcorrente su riviste non riconosciute. Il paradosso, come però spesso accade in questi casi, è che la visione del 99% della comunità scientifica, che per comodità potremmo chiamare la scienza, diventa minoritaria nel dibattito collettivo. Ancora una volta.
È un’epoca fondata sullo scetticismo quella in cui viviamo. Un’epoca di dietrologie, di detto-non detto, di illazioni. Un’epoca dove anche la maggiore delle certezze, la scienza, diventa opinione, come se fossimo davanti a dibattito elettorale tra questo e quel candidato. Ed è proprio questo il punto, la propaganda. Non è stupido Donald Trump ad agitare quotidianamente lo spettro del complotto cinese a un paese che sta vivendo uno dei più grandi drammi dall’attentato alle torri gemelle. Potrebbe rendere conto delle sue responsabilità il presidente, ma significherebbe ammettere che tante cose non hanno funzionato, se oggi gli Stati Uniti sono il paese con più decessi di Covid-19 nel mondo. Meglio allora usare lo stratagemma più antico del mondo, quello del capro espiatorio contro cui puntare il dito: creare un nemico, addossargli le colpe dei propri mali, ripulirsi la coscienze. E vincere le imminenti elezioni presidenziali, che si terranno a novembre.
Lo stesso che fa la politica populista di casa nostra, bravissima a selezionare come un ago quell’unico contenuto controcorrente nel pagliaio delle teorie che lo smentiscono. E poi costruire da qui la nuova teoria del complotto su cui modellare il consenso, dopo che lo si è fatto in passato con meridionali, poi migranti, ora cinesi. Si gioca sulle paure delle persone, sull’incertezza e la loro ignoranza – non nel senso di stupidità, ma di normale non conoscenza di cose più grandi di loro, la virologia appunto – per offrire loro delle risposte certe, degli scandali, dei colpevoli, in un contesto in cui invece di colpevoli per il virus non ce ne sono e di risposte, purtroppo, neanche (per ora).
Quella palude di scetticismo e fake news in cui già trovavamo intrappolati ha visto alzarsi ulteriormente il fango in questi ultimi due mesi, anche in un contesto critico come quello che ci siamo ritrovati a vivere. Mentre la quasi totalità delle attività produttive abbassava le serrande, la fabbrica del complottismo ha continuato ad operare a pieno regime, aggiungendo caos al caos. Ad alimentarla, a farle da megafono, una politica assetata di capri espiatori con cui difendersi dall’erosione del proprio consenso. Eppure oggi se proprio vogliamo trovare dei colpevoli della situazione in cui ci troviamo, essi sono quegli stessi politici che a suon di aprire aprire aprire e sottostima iniziale della pandemia, ne hanno spianato la strada.
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