Fissato per il prossimo 29 marzo, ora l’epidemia del coronavirus potrebbe intralciare la campagna referendaria. Molti ne chiedono il rinvio: una possibilità per ora scongiurata, ma non del tutto impossibile
(foto: Roberto Monaldo/ LaPresse)
Il prossimo 29 marzo dovrebbe tenersi il referendum sul taglio dei parlamentari, ma con la gestione dell’epidemia del coronavirus il condizionale è d’obbligo: non si esclude infatti vi possa essere un breve slittamento a causa della situazione emergenziale in cui versa il paese. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha cercato di arginare qualsiasi retroscena o crisi di panico: entro 29 marzo l’emergenza sarà superata e il referendum si terrà come da calendario. Ma i promotori della consultazione hanno scritto al governo per chiedere un tavolo di confronto sulla questione.
Tutta la vicenda, dall’inizio
Lo scorso 8 ottobre la Camera aveva approvato con 553 voti a favore, 12 contrari e due astenuti la riforma cosiddetta del taglio dei parlamentari che ha l’obiettivo di ridurre il numero degli eletti in questi termini: da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. Si parla, quindi, di una riduzione di un terzo del totale. La riforma doveva entrare in vigore entro tre mesi, ma ha subito uno stop quando, a dicembre, sono state raggiunte le 64 firme di senatori necessarie per chiedere il referendum. Come previsto dalla Costituzione, un quinto dell’aula può infatti sospendere l’entrata in vigore di una legge entro i tempi stabiliti proprio per chiedere una consultazione elettorale. La Cassazione, che aveva ricevuto le firme come da procedura, aveva dato il via libera al referendum lo scorso 24 gennaio e la data era stata stabilita al 29 marzo.
E adesso?
A complicare le sorti della consultazione c’è ora il coronavirus. Secondo alcuni costituzionalisti, a capo dei comitati per il No, non ci sono dubbi: il referendum deve essere rinviato per gestire questa emergenza. Di questo avviso è ad esempio Massimo Villone, costituzionalista e presidente dell’associazione No al taglio del parlamento. A chiederlo espressamente poi, già dai giorni scorsi, sono anche Stefano Pedica del Partito democratico e Benedetto Della Vedova, il segretario di PiùEuropa,. “È evidente che nelle prossime settimane in molte regioni italiane l’emergenza coronavirus, così come decretata e affrontata dal governo Conte, comporterà, tra le altre cose, l’impossibilità di svolgere iniziative pubbliche per il referendum confermativo del taglio dei parlamentari”, ha detto Della Vedova. Per Pedica, invece, “in un momento così difficile e complicato, bisogna concentrare tutte le forze per contenere il contagio”.
Il tema di fondo è se vi siano o meno le condizioni per svolgere una corretta campagna elettorale. Ci si interroga se infatti, visto che in alcune regioni sono state sospese iniziative, se sia giusto che molti cittadini votino senza una giusta campagna informativa. Secondo alcuni l’attenzione dei media sarebbe infatti monopolizzata dal virus. Per questo anche il leader della Lega, Matteo Salvini, si è dichiarato favorevole a uno slittamento. “Vedo complicato fare una campagna elettorale referendaria normale, con zone isolate e cittadini in quarantena. Questo percorso mi sembra impraticabile”, ha detto prima di incontrare Sergio Mattarella.
Non va dimenticato che una consultazione rinviata di qualche mese – e non di poche settimane – potrebbe non solo accoppiarsi a varie elezioni regionali a maggio, ma di fatto riaprirebbe la finestra per il ritorno al voto che si era chiusa. In altre parole, in caso il referendum venisse posticipato e il governo cadesse nel mentre, si voterebbe per eleggere un nuovo parlamento senza alcun taglio (945 senatori e deputati e non 600).
Il referendum si può rinviare davvero?
Se secondo alcuni un rinvio gioverebbe a tutte le fazioni politiche, sia a chi sostiene il Sì che a chi è dalla parte del No (di fatto, così la legislatura sarebbe blindata fino a febbraio 2021), occorre capire se è veramente possibile. Nel 1996, fa notare qualcuno, sotto il governo Dini, era successa una cosa simile. In un’ottica di rinvio, la palla passa direttamente nelle mani del comitato che ha depositato le firme in Cassazione – equiparato, una volta indetta la consultazione, a potere dello stato. Dopodiché il governo può esprimersi e fare un decreto che deve essere però approvato dalle camere senza nessun incidente di percorso.
Una situazione che sembra concretizzarsi, visto che i promotori hanno chiesto l’apertura di un tavolo al governo: “Il persistere dell’incertezza sull’evoluzione del coronavirus e le numerose limitazioni alla circolazione delle persone disposte da Regioni e Comuni rischiano di comprimere il diritto dei cittadini italiani a essere debitamente informati in vista del referendum costituzionale del 29 marzo”, hanno scritto in una nota i senatori Andrea Cangini, Nazario Pagano e Tommaso Nannicini. “In quanto rappresentanti del Comitato promotore della consultazione referendaria e potere dello stato” – prosegue la comunicazione – “abbiamo perciò scritto al presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte e al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, chiedendo loro di convocare al più presto un tavolo per valutare assieme la situazione“.
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