Per un breve momento, all’inizio del 2018, a Hefei (Cina), all’interno del gigantesco reattore a fusione nucleare (sperimentale) EAST (Experimental Advanced Superconducting Tokamak) si è raggiunta una temperatura talmente elevata da fare impallidire il Sole: oltre 100 milioni di °C – contro i circa 15 milioni di cui è “capace” la nostra stella. È il nuovo record per le tecnologie di fusione nucleare: un nuovo, importante passo in avanti per la svolta energetica da tanto attesa per l’umanità.
L’energia infinita. Ottenere e contenere l’enorme quantità di energia che si libera dalla fusione di atomi – generalmente deuterio, un isotopo stabile dell’idrogeno- non è impresa semplice. È necessario infatti fornire, all’inizio del processo, una enorme quantità di energia, tale per cui quando si scontrano possano fondersi – dando origine a un altro elemento e, al contempo, emettendo una quantità di energia di gran lunga superiore a quella fornita.
Sul Sole e su tutte le stelle che conosciamo il processo è più semplice, da un certo punto di vista, “facilitato” e compensato dall’enorme pressione dovuta alle forze gravitazionali tipiche di oggetti di “massa stellare”. Sulla Terra, le nostre tecnologie e i nostri materiali non ci permettono di eguagliare neppure lontanamente quelle pressioni, che possiamo però provare a compensare con temperature di gran lunga più elevate.
Questa è però solamente la prima difficoltà: ottenuta la temperatura, bisogna pensare a come gestire la “zuppa calda di idrogeno” per fare scontrare gli atomi fra loro e non con le pareti dei contenitori dove avviene il tutto, che non potrebbero reggere il contatto con materiale a quella temperatura. Questo si può fare grazie a potenti campi magnetici, capaci di tenere il plasma in sospensione, a mezza strada da qualunque punto di contatto con le pareti del reattore.
Raccontata così sembra quasi facile: perché è vero che abbiamo le tecnologie e le risorse per fare tutto ciò che serve, ma nessuna delle tecnologie in campo permette (ancora) di fare tutto assieme e di farlo funzionare per più di pochi secondi, quando non frazioni di secondo. Quando ci riusciremo si aprirà un’era completamente nuova per l’umanità: energia in quantità, a basso costo (perché “infinita”), centrali sicure, poche scorie facilmente gestibili. Nel frattempo…
Segreto cinese. Il lavoro dei cinesi con EAST promette un importante passo in avanti sul fronte delle tecnologie basate sul confinamento magnetico del plasma (del tipo tokamak, per intenderci), ma non tutto è chiaro (o reso disponibile), perché al momento gli scienziati (o i “gestori” politici della sperimentazione) non hanno fatto sapere nulla sulla densità del plasma nel reattore, un’informazione che nell’ambiente della fusione nucleare è giustamentre considerata cruciale. Pochi atomi (perciò bassa densità, qualunque essa sia) possono infatti essere più facilmente controllati, a quelle temperature, che non un plasma ad alta densità – che però è ciò a cui occorre puntare.
In diverse parti del mondo si stanno sperimentando reattori per la fusione termonucleare, con buone prospettive. L’esperimento EAST sembra però al momento il più evoluto e importante – tra l’altro, nel 2017 lo stesso reattore permise di mantenere il plasma in attività per ben 101,2 secondi, un vero record!
L’Italia in prima fila. Il nostro Paese dà un contributo rilevante ai principali programmi di ricerca internazionale sulla fusione (come ITER, per esempio) ed è tra i partner principali delle agenzie europee EUROfusion e Fusion for Energy.
L’ENEA partecipa a queste iniziative con il Dipartimento fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare (FSN). L’Agenzia italiana ha recentemente condotto, in Giappone, l’assemblaggio del sistema magnetico del reattore sperimentale a fusione JT-60SA (Japan Torus-60), con la fornitura di 20 grandi bobine toroidali, 10 delle quali realizzate in Italia.
Presso il Centro Ricerche ENEA di Frascati (Roma) è in fase di realizzazione il polo scientifico-tecnologico Divertor Tokamak Test (DTT), uno tra i progetti più avanzati al mondo nel campo della ricerca sulla fusione nucleare, che prevede l’impiego di 1.500 persone altamente specializzate e un ritorno stimato di 2 miliardi di euro a fronte di investimenti stimati in circa 500 milioni. Questo sarà probabilmente il punto di svolta verso tecnologie meno sperimentali: questo divertore “permetterà di effettuare di esperimenti in scala in grado di cercare alternative per il divertore in grado di integrarsi con le specifiche condizioni fisiche e le soluzioni tecnologiche previste in DEMO“, l’evoluzione di ITER.