Secondo uno studio del Transnational Institute i nuovi muri sono nati in reazione alle migrazioni e non sono fatti solo di cemento, perché riguardano i confini marittimi e i sistemi di monitoraggio
(Foto: Getty Images)
Sono passati 30 anni dalla caduta del muro di Berlino, evento che aprì la strada alla riunificazione della Germania e alla fine della Guerra fredda, eppure nell’Europa contemporanea sono stati costruiti altri muri, e nemmeno di poco conto in termini quantitativi. Secondo un rapporto del Transnational Institute, questo è avvenuto soprattutto negli ultimi cinque anni, quando la crisi migratoria ha toccato il suo picco e gli stati hanno reagito intensificando i confini (o costruendone di nuovi, di fatto).
L’Unione Europea – spiega lo studio – ha costruito l’equivalente di sei muri di Berlino per estensione sulla superficie terrestre e 29 su quella marittima. Il tutto è stato possibile “grazie alla massiccia espansione della spesa pubblica per la sicurezza delle frontiere negli stati membri dell’Ue”. Ma i finanziamenti arrivano anche dall’esterno, per un totale stimato di 17,5 miliardi di euro nel 2018 e una crescita annua dell’8% prevista nei prossimi anni. E non è tutto: secondo la ricerca, i paesi dell’Unione avrebbero speso quasi un miliardo di euro per innalzare muri e recinzioni dopo la fine della Guerra fredda.
Per citare qualche esempio tangibile si può pensare alle barriere delle città di Ceuta e Melilla che dividono la Spagna dal Marocco, o quelle che dividono la Turchia dalla Grecia e dalla Bulgaria. Altri muri di protezione dei confini si trovano fra Ungheria, Serbia e Croazia e interessano la rotta balcanica dei migranti. Spostandoci ancora più a nord un altro punto di divisione è Calais, in Francia, dove i migranti cercano di raggiungere l’Inghilterra. A est, invece, Lituania, Lettonia ed Estonia hanno innalzando barriere sul confine con la Russia sempre a scopo protettivo.
Il report, però, punta il dito proprio sul business della costruzione dei nuovi muri che spesso va a discapito di un costo umano elevatissimo e incrementa le problematiche fra paesi, aggravando ovviamente la crisi migratoria. L’analisi viene condotta anche prendendo in considerazione proprio i motivi sociali alla base della costruzione dei nuovi muri: essenzialmente la paura e la difesa dei confini. Va ricordato che dal 2004 esiste anche un’apposita agenzia europea, Frontex, che monitora gli accessi ai confini – anche marittimi – dei paesi dell’Ue.
Non solo cemento
Appare interessante osservare che le divisioni contemporanee, più che in muri propriamente detti, consistano soprattutto in operazioni di monitoraggio e pattugliamento, come quelle che avvengono – specifica il rapporto – lungo i 4750 chilometri dei confini del Mar Mediterraneo. In questo caso si tratta di agenti di frontiera e di sofisticate strumentazioni tecnologiche che sono volte a impedire l’arrivo delle persone all’interno dell’Europa. “Le vere barriere alla migrazione contemporanea sono rappresentate dalla vasta gamma di tecnologie come i sistemi radar, i droni, le telecamere di sorveglianza” spiega il report.
Oltre ai muri terrestri e marittimi, un ultimo settore che lo studio prende in esame è quello delle società IT e di sicurezza che si sono impegnate a sviluppare, gestire, espandere e mantenere i sistemi dell’Ue che monitorano la circolazione delle persone. Ne sono un esempio il Sis II (Sistema d’informazione Schengen) e l’Ees (che controlla l’entrata e l’uscita). Secondo Tni questi sarebbero i “muri virtuali dell’Europa”, che di certo sono estremamente diversi da quello caduto a Berlino nella notte del 9 novembre 1989, eppure esistono – ed esistono le loro conseguenze.
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