Lo studio ha ricevuto l’approvazione del comitato etico per trovare la dose minima di coronavirus sufficiente a infettare una persona e per studiare l’interazione tra il patogeno e il sistema immunitario
Ne avevamo già parlato nei primi mesi di questa pandemia, e adesso la possibilità di iniziare uno studio sul coronavirus coinvolgendo persone sane, per infettarle di proposito, si è concretizzata. Con l’appoggio del governo britannico, infatti, tra qualche settimana dovrebbe partire la Uk Covid Challenge, una ricerca che coinvolgerà 90 volontari tra i 18 e i 30 anni sani e che non hanno mai contratto il coronavirus. Lo scopo per il momento è solo quello di stabilire la minima dose di Sars-Cov-2 in grado di infettare una persona e cercare di approfondire l’interazione tra il patogeno e il sistema immunitario fin dalle prime fasi.
Uk Covid Challenge
La Uk Covid Challenge è un trial basato sullo Human Challenge Model, ossia uno studio durante cui dei volontari sani sono deliberatamente infettati con un virus. In questo caso specifico il virus sarà ovviamente Sars-Cov-2, per la precisione nella versione che si è diffusa a partire dalla scorsa primavera, quindi non nelle varianti che stanno prendendo piede in queste ultime settimane e che sembra possano essere anche più pericolose.
Lo studio è una partnership tra il governo britannico, l’Imperial College London, la Royal Free London Nhs Foundation Trust e la company hVIVO, e per il momento ha avuto l’autorizzazione a procedere solo per determinare la dose minima di coronavirus sufficiente a infettare una persona.
I 90 volontari (persone sane tra i 18 e i 30 anni che non hanno mai contratto Sars-Cov-2) saranno divisi in piccole coorti. Gli scienziati cominceranno a somministrare per via nasale una piccola quantità di virus alla prima coorte, e se le persone non si infetteranno procederanno a aumentare le dosi nelle coorti successive fino a trovare il quantitativo minimo di coronavirus in grado di instaurare l’infezione. Dopo la somministrazione i volontari saranno tenuti in quarantena all’interno di una struttura ospedaliera per due settimane, costantemente monitorati. Per il loro impegno, per risarcire l’assenza dal lavoro e la lontananza dalla famiglia, ciascun volontario riceverà 4.500 sterline, pari a 5.193 euro.
L’idea, poi, è di proseguire lo studio con volontari vaccinati per testare l’efficacia dei prodotti attuali contro le nuove varianti e vaccini anti-Covid di seconda generazione. Ma per procedere occorreranno altri permessi.
I pro
Studi di questo genere si utilizzano di solito per verificare l’efficacia di un vaccino. Ne sono stati già fatti in passato per malattie come la malaria o il tifo e continuano a esserci per l’influenza. Seguono un modello diverso rispetto alle altre sperimentazioni sui vaccini che abbiamo imparato a conoscere in quest’ultimo anno (in cui si attende che i volontari si espongano naturalmente al virus all’interno della comunità), ma hanno dei vantaggi dal punto di vista scientifico. Vantaggi che evidentemente sono stati considerati dal comitato etico britannico superiori ai rischi che potrebbero correre i volontari.
Gli esperti che sostengono la necessità di studi di questo tipo ritengono che siano essenziali per continuare a sviluppare nuovi vaccini e trattamenti specifici per Covid-19. “Ci aspettiamo che questi studi offrano informazioni uniche sul modo in cui funziona il virus e ci aiutino a capire quali futuri vaccini offrano le migliori possibilità di prevenire l’infezione”, ha dichiarato Clive Dix, a capo della Vaccines Taskforce del Regno Unito.
“Impareremo moltissimo sull’immunologia del virus”, ha commentato Peter Openshaw dell’Imperial College di Londra, coinvolto nello studio, aggiungendo che lo studio sarebbe in grado di “accelerare non solo la comprensione delle manifestazioni causate dall’infezione, ma anche di accelerare la scoperta di nuovi trattamenti e di vaccini”.
I contro
Non mancano comunque punti controversi. Per esempio, è vero che studi Human Challenge Model si sono fatti in passato e si fanno ancora, ma di solito le malattie provocate intenzionalmente hanno dei protocolli di cura che garantiscono un ampio margine di sicurezza. Per Covid non è così: ci sono casi gravi anche tra persone giovani e sane, l’andamento è imprevedibile e non ci sono terapie specifiche.
Inoltre alcuni ritengono che si tratterebbe di uno studio limitato proprio perché i volontari sono giovani e sani: si va ad approfondire la conoscenza dei meccanismi del virus nel target che ne ha meno bisogno, ottenendo risultati che difficilmente riusciranno a essere tradotti su persone anziane o con patologie pregresse, che hanno reazioni immunitarie diverse.
Infine, non è chiaro come le autorità regolatorie in Gran Bretagna e in tutto il resto del mondo potrebbero valutare i risultati di uno studio simile, sempre in relazione al fatto che i dati sarebbero limitati dall’età e dal piccolo numero di persone coinvolte.
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