Data la lunghezza della premessa iniziale, la recensione comincia subito proponendovi il link diretto alle singole sezioni:
UNA DOVEROSA PREMESSA
Quando lo scorso anno partecipai alla presentazione europea di Oculus Rift S e Quest, ebbi subito la sensazione che il secondo visore standalone di Oculus potesse rappresentare l’inizio di un percorso del tutto nuovo per il mondo della VR. Con il Quest, infatti, l’azienda ha finalmente messo da parte il concetto che sino a quel momento aveva proposto i visori stand alone come delle macchine di serie B, specialmente nel campo dei controlli e della qualità delle esperienze VR.
Oculus Go è un esempio lampante di tutto questo; si è trattato di un dispositivo di fascia molto bassa, concepito per presentarsi come porta d’accesso alla realtà virtuale, senza però offrire un’esperienza significativamente migliore di quella già possibile su altre soluzioni come il Gear VR (sempre realizzato da Oculus, in collaborazione con Samsung); di fatto, anche in quel caso, si trattava di avere uno smartphone (seppur disassemblato e ridotto ai suoi componenti minimi) posto davanti ai nostri occhi, del tutto privo di un sistema di controllo adatto al gaming e all’interazione in ambienti VR.
Oculus Quest ha fatto grossi passi in avanti sotto questi aspetti, arrivando a proporre nel 2019 un’esperienza d’uso del tutto in linea con quella di Oculus Rift e Rift S, grazie al pieno supporto ai controller Oculus Touch, al tracciamento inside-out che permette al visore di avere coscienza della sua posizione nello spazio, ai 6 gradi di libertà e ad una libreria di applicazioni e giochi che ha gradualmente cominciato a convergere con quella del Rift.
Al momento del suo lancio, tuttavia, anche il Quest presentava limiti e incertezze, alcune di queste sparite con il tempo. Una in particolare riguardava la sua capacità di restare attuale anche col passare degli anni. Un Oculus Rift o un Rift S difficilmente diventeranno completamente obsoleti nel breve periodo, in quanto il loro ruolo è lo stesso svolto da un semplice monitor; possono arrivare tecnologie in grado di migliorare l’esperienza d’uso, la definizione del pannello, il comfort d’utilizzo, ma difficilmente diventeranno completamente inutili nel giro di 4-5 anni, visto che l’hardware dedicato alla fruizione di giochi e esperienze si trova nel PC a cui sono collegati.
Inizialmente il Quest era un dispositivo fine a se stesso, decisamente più evoluto di un Oculus Go, ma comunque confinato alle potenzialità offerte da un hardware che già al momento del lancio non appariva molto improntato verso il tema della longevità: Snapdragon 835 e 4GB di RAM non sono mai stati visti come un’accoppiata vincente, specialmente quando il mercato proponeva soluzioni più innovative (Snapdragon 855 era già presente sui primi smartphone) e in un campo particolarmente esoso di risorse come quello della realtà virtuale.
Tutto è cambiato con l’arrivo della funzione Oculus Link, il vero e proprio ponte tra le due proposte dell’azienda. Composto da un elemento software e uno hardware (l’omonimo cavo), Oculus Link ha permesso di trasformare qualsiasi Quest in un vero e proprio visore da PC, permettendo quindi di sfruttare la libreria nativa del Quest in mobilità e quella del Rift una volta collegato.
Ciò ha permesso al dispositivo – in realtà all’intera categoria – di fare un salto in avanti decisamente importante nel campo della versatilità. Improvvisamente è stato il Rift S a trovarsi in pericolo, in quanto divenuto un dispositivo in grado di fare solo una cosa, mentre il Quest permetteva di accedere ad entrambe le possibilità, anche se non con la stessa qualità. In questo modo è venuto meno uno dei dubbi menzionati prima, ovvero cosa fare di un visore stand alone una volta che il suo hardware interno non sarà più in grado di stare al passo con le specifiche minime delle ultime esperienze: riciclarlo come visore da PC.
Arrivati a questo punto troverete sicuramente curioso il fatto che il prodotto in esame in questa recensione non sia ancora stato nominato, ma finalmente ci siamo. La lunga premessa è infatti necessaria per capire il percorso svolto sia da Oculus che dalla categoria di dispositivi in questione, della quale il nuovo Quest 2 rappresenta un punto di svolta critico.
Oculus Link, infatti, ha improvvisamente reso la serie Rift ridondante, il nuovo hardware alla base del Quest 2 offre un netto balzo in avanti rispetto al suo predecessore e il nuovo collocamento di prezzo lo rende una proposta molto più appetibile per chi si avvicina per la prima volta alla VR. Tanti fattori positivi a cui però vengono contrapposte anche delle rinunce in diversi campi, non del tutto marginali. Cerchiamo quindi di capire se il gioco vale la candela.
Cominciamo quindi proprio da questi aspetti che, in alcuni casi, rappresentano un downgrade rispetto a quanto proposto con il primo Quest. Prima di addentrarci è però giusto ribadire ancora una volta l’idea attorno cui è stato costruito questo visore: migliorare la piattaforma hardware e, allo stesso tempo, garantire un prezzo di ingresso più basso. La riduzione del listino è quantificata in 100 euro, una cifra che porta il prezzo della variante base da 449 a 349 euro.
MATERIALI, COSTRUZIONE E ERGONOMIA
Gli elementi ad essere stati sacrificati in questo processo sono, come anticipato prima, parzialmente marginali alla fruizione dell’esperienza. Il primo riguarda i materiali utilizzati per la costruzione del visore. Sparisce il rivestimento in tessuto che donava al primo Quest un aspetto decisamente elegante, sostituito da una scocca realizzata in materiali completamente plastici. Ci lascia anche il secondo jack audio da 3,5mm (il primo Quest ne aveva uno per lato) posizionato sul lato destro, ma non finisce qui.
La differenza principale, infatti, riguarda il supporto per la testa utilizzato. Sparisce quello regolabile e semi rigido con rivestimento in velcro, per tornare a quello molto più spartano, basato su fasce elastiche, che trovavamo sul Go. Inutile negarlo, la differenza si sente, specialmente se si viene proprio dal precedente visore o dal Rift S. Il visore non risulta mai scomodo, sia chiaro, ma il maggior comfort offerto dalle soluzioni più raffinate è innegabile.
Oculus lo sa bene e infatti ha subito proposto due accessori ufficiali che vanno a correggere questo difetto. Si tratta dell’Elite Strap e della sua versione con batteria aggiuntiva (quest’ultimo è sicuramente il più interessante, anche perché aggiunge del peso posteriore che consente di bilanciare meglio la distribuzione del carico sulla testa), proposti rispettivamente a 49 e 139 euro. Oculus ha infatti previsto che lo strap del Quest 2 sia facilmente rimovibile, permettendo di aggiornarlo con semplicità.
Appare chiaro come parte della riduzione del costo sia dovuta proprio a questi aspetti sui quali Oculus si aspetta di generare nuovi ricavi attraverso la vendita degli accessori dedicati. In ogni caso, la somma del prezzo del Quest 2 e dell’Elite Strap ci tengono ancora al di sotto del prezzo di listino del primo Quest (349 + 49 euro contro 449), quindi non possiamo certo condannare la scelta fatta dall’azienda. Inoltre ci aspettiamo che il mercato offra delle valide proposte alternative agli accessori ufficiali, magari in grado di far risparmiare qualcosa di più o di proporre soluzioni più originali e adatte alla personalizzazione del visore.
In ogni caso l’esperienza d’uso del Quest 2 è senza dubbio di ottimo livello, specialmente per quanto riguarda la comodità della parte frontale, quella che poggia direttamente a contatto con il viso (se indossate gli occhiali, in confezione trovate il distanziatore che vi permette di utilizzarli anche mentre indossate il casco). L’isolamento è generalmente molto buono, anche se non è perfetto in prossimità della zona del naso, lasciandovi quello spiraglio che vi permette di dare un rapido sguardo a cosa sta succedendo fuori anche senza rimuovere il visore o rivolgervi alla funzione Passtrough Plus. Sotto questo aspetto ci troviamo in linea con quanto proposto sul primo Quest e un leggero passo indietro rispetto alle “alette” in gomma presenti sul Rift S, le quali garantiscono un’isolamento migliore.
Al netto di ciò, il Quest 2 è comunque molto comodo da utilizzare anche per sessioni prolungate, merito dei 100 grammi di peso in meno che portano quello complessivo del visore giusto un paio di grammi al di sopra dei 500g. Il tutto senza rinunciare alla ventola per la dissipazione attiva che tiene a bada in maniera efficiente e silenziosa il visore in qualsiasi contesto. Un aspetto critico dei visori stand alone, infatti, riguarda il fatto che tutto l’hardware sia posizionato frontalmente, con il rischio che si sviluppi calore in eccesso che possa renderne fastidioso l’utilizzo. Ciò, fortunatamente, non accade mai.
Per quanto concerne le altre differenze fisiche rispetto al Quest 1, la nuova versione offre un diverso layout per quanto riguarda la disposizione della porta USB Type-C (ora orientata orizzontalmente, in modo da rendere più semplice l’utilizzo dell’Oculus Link) e il tasto d’accensione è posizionato subito sotto l’asta destra, di fianco al LED di stato. Nella parte bassa del casco troviamo i due microfoni e il bilanciere del volume, mentre le casse – il cui volume massimo e la qualità sono aumentati rispetto al predecessore – sono posizionate nella parte interna delle due aste laterali.
Se sino ad ora abbiamo raffrontato le due generazioni di Quest ponendo l’enfasi su quali rinunce sono state fatte per raggiungere un prezzo di listino inferiore, da questo momento in poi ci addentreremo in tutti quegli aspetti che rendono il Quest 2 un prodotto decisamente superiore rispetto al suo predecessore, a cominciare dal nuovo meccanismo di aggiustamento della posizione delle lenti. Come per il Rift S, anche sul Quest 2 è stato adottato un pannello singolo che non permette di muovere le lenti con la stessa libertà offerta dal primo Rift, tuttavia, sia rispetto al Rift S che al primo Quest, il nuovo visore offre una soluzione in grado di migliorare quanto proposto sui caschi del 2019.
Il tema è quello della distanza interpupillare, che varia da persona a persona e che nella precedente generazione veniva affrontato attraverso un sistema di aggiustamento software della distanza delle immagini. Con il Quest 2, Oculus ha introdotto un meccanismo che permette di spostare le lenti del visore su 3 distanze predefinite, in modo da dare maggiore flessibilità al software.
Ho trovato la soluzione offerta dal Quest 2 molto più comoda ed efficace rispetto a quella del Quest e del Rift S, segno che la strada presa è quella giusta. Oltre che da me, il visore è stato provato da altre 2 persone: una volta spostate le lenti sulla posizione desiderata, per entrambe l’esperienza d’uso è stata perfetta, con immagini sempre a fuoco e nessuna fastidiosa distorsione.
HRDWARE : SOTTO IL COFANO, O MEGLIO, DENTRO AL CASCO
Ma andiamo al cuore di questo miglioramento generazionale: l’hardware e lo schermo che troviamo nel casco. Oculus ha finalmente messo da parte gli Snapdragon “tradizionali” (anche se sappiamo che sia l’821 del Go che l’835 del Quest sono stati ottimizzati in collaborazione con Qualcomm) per buttarsi su Snapdragon XR2, un SoC che nasce proprio con il focus sul tema della realtà virtuale, grazie a particolari ottimizzazioni per la composizione delle due immagini, il supporto a pannelli più definiti e la possibilità di riprodurre contenuti video a 360° sino all’8K.
In pratica si tratta di una versione ottimizzata dello Snapdragon 865, in grado quindi di offrire un netto salto in avanti sia dal punto di vista computazionale che grafico rispetto alla soluzione del 2019 basata su Snapdragon 835. Questo, unito ai 6GB di memoria RAM (prima erano 4), permette al Quest 2 di essere molto più future proof del suo predecessore e di gestire con più facilità tutti i contenuti già disponibili per la piattaforma Quest.
Alcuni di essi sono già stati aggiornati (come Apex Construct e Arizona Sunshine) in modo da supportare le potenzialità sia del SoC che del nuovo display che troviamo nel visore. Quest 2, infatti, utilizza uno schermo molto più definito e in grado di offrire un refresh rate sino a 90Hz (anche se al momento è bloccato a 72Hz; è in arrivo un aggiornamento in grado di abilitare i 90Hz). Ma entriamo nel dettaglio.
Lo schermo è probabilmente uno degli elementi più importanti in un visore VR, in quanto è il componente che ci permette di immergerci nel mondo virtuale. Con il Quest 2, Oculus ha fatto una scelta che permette di contenere i costi e di migliorare – allo stesso tempo – la qualità visiva rispetto sia al Quest 1 che al Rift S (sui contenuti nativi).
Per quanto riguarda il confronto con il predecessore, si potrebbe pensare che il passaggio da uno schermo OLED ad uno LCD possa essere un downgrade, tuttavia non è così. Bisogna essere molto chiari su questo punto: i pannelli OLED sono fantastici con i loro colori vibranti, neri profondi e contrasti stellari; nonostante ciò, non si tratta di una tecnologia ancora adatta al mondo della realtà virtuale.
Il problema risiede nella tanto famosa matrice Pentile, che riduce il numero di subpixel e rende quindi il pannello meno definito rispetto alla controparte LCD a parità di risoluzione. Questo aspetto viene tranquillamente arginato in quasi tutti i dispositivi d’uso comune, in quanto l’elevata definizione dello schermo, unita alla maggiore distanza d’uso, non ci permette più di apprezzare la reale differenza (ma potete comunque distinguerla in alcuni casi: un pannello OLED FullHD da più di 6” risulta molto più “granuloso” rispetto al corrispettivo FullHD).
Questo compromesso è difficile d’accettare nel campo della realtà virtuale, dove un pannello poco definito è sinonimo di un elevatissimo effetto screen door, ovvero quello che comporta la visione della fastidiosa zanzariera, nient’altro che la griglia dei pixel. L’effetto screen door, abbinato ai tempi di risposta dei pannelli OLED generalmente più elevati, causano la fruizione di un’esperienza in realtà virtuale che tende a risultare sgradevole dopo poco tempo, con altissime probabilità di causare motion sickness.
Nel caso del Quest 2, invece, Oculus ha fatto una scelta molto intelligente: non solo è tornata ad usare un singolo display LCD fast switch, ma ha anche aumentato considerevolmente la risoluzione per occhio. Parliamo di 1.832 x 1.920 (3,5 MP) pixel per occhio (ppo d’ora in avanti), un netto passo in avanti rispetto ai 1.440 x 1.600 (2,3 MP) ppo del Quest 1 (che ricordiamo erano applicati su uno schermo OLED, quindi quelli percepiti realmente erano inferiori) e ai 1.280 x 1.440 (1,84 MP) ppo del Rift S. Il confronto è davvero impressionante specialmente nei confronti di Rift S, rispetto al quale abbiamo quasi un raddoppio della definizione per occhio.
Questi numeri si traducono nella migliore esperienza visiva mai offerta da un visore Oculus. Il pannello è di buona qualità anche per quanto riguarda i colori, che risultano molto gradevoli anche pur non trattandosi di uno schermo OLED. Certo, rispetto al Quest 1 perdiamo qualcosa in termini di profondità dei neri e contrasti, tuttavia il guadagno offerto in termini di risoluzione è talmente elevato che sovrasta qualsiasi aspetto marginale e accessorio come questo.
Tutto ciò, infatti, comporta una quasi completa cancellazione dell’effetto screen door, visto che la griglia dei pixel non è praticamente quasi mai visibile. Oltre a ciò, la maggior definizione dello schermo ci permette di leggere meglio tutti i testi presenti nei giochi e persino quelli delle applicazioni in esecuzione sul nostro desktop nel caso in cui usassimo il visore collegato al PC.
Nel complesso, l’aggiornamento del display è certamente l’elemento che più caratterizza il Quest 2 e quello su cui ha avuto più senso puntare: il dispositivo si presenta come un prodotto molto più accessibile e indirizzato verso un pubblico più ampio, quindi proporre uno schermo più definito – in grado di far apprezzare meglio ciò che la VR ha da offrire – è senza dubbio il miglior biglietto da visita per colpire positivamente tutti i neofiti, offrendo – allo stesso tempo – un valido motivo per aggiornare a tutti coloro che già possiedono un visore.
OCULUS QUEST 2: SCHEDA TECNICA
Visore:
● Dimensioni del prodotto: 191,5 mm x 102 mm x 142,5 mm (cinghia ripiegata), 191,5 mm x 102 mm x 295,5 mm (cinghia completamente estesa);
● Peso: 503g;
● Tracking: supporta 6 gradi di libertà di tracciamento della testa e della mano attraverso la tecnologia integrata OculusInsight;
● Memoria: 64GB o 256GB
● Pannello del display: Fast-switch LCD;
● Risoluzione del display: 1832×1920 per occhio;
● Display Refresh: 72Hz al lancio; 90Hz in arrivo
● SoC: Qualcomm Snapdragon XR2 Platform
● Audio: speaker e microfono integrati; compatibile anche con cuffie da 3,5 mm;
● RAM: 6GB
● Durata della batteria: tra le 2-3 ore in base al tipo di contenuto utilizzato su Quest 2; più vicino alle 2 ore se si gioca e più vicino alle 3 ore se si guardano video. In qualsiasi momento, è possibile controllare lo stato della batteria del visore nelle impostazioni dell’app di Oculus o in VR tramite Oculus Home;
● Tempo di ricarica: con l’alimentatore USB-C in dotazione, la batteria di Quest 2 si ricarica completamente in circa 2,5ore;
● IPD: IPD (distanza interpupillare) regolabile con tre impostazioni: 58, 63 e 68mm;
● Spazio di gioco: Stationario o Roomscale. Il requisito minimo per il Roomscale è di circa 2×2 metri di spazio libero da ostacoli.
Controller:
● Dimensioni: 9 x 12cm (per controller, incluso l’anello di tracciamento);
● Peso: 126g (per controller, escluso il peso della batteria);
● Richieste 2 batterie AA (incluse nella confezione; 1 per controller).
I NUOVI OCULUS TOUCH
Un altro aspetto molto valido del Quest è il suo sistema di controllo. Anche in questo caso troviamo in dotazione due controller Oculus Touch, anche se si tratta di una nuova versione rispetto a quella a cui siamo abituati. Oltre ad essere di colore bianco/grigio – come il resto del visore -, è cambiata leggermente anche la loro forma.
I nuovi Oculus Touch risultano leggermente più grandi rispetto alla precedente versione, offrendo una maggiore superficie su cui la mano può far presa (una texture gommata sulla parte esterna avrebbe senza dubbio aumentato ulteriormente la presa). Non cambia la posizione dei due dorsali su cui poggiano l’indice e l’anulare, mentre troviamo maggior spazio a disposizione sulla parte frontale, dove sono presenti i tasti e la levetta analogica di ogni controller.
Questi ora risultano maggiormente distanziati e più facili da distinguere, rendendo più facile identificarli mentre si indossa il casco. Oltre a ciò, è stata aggiunta una superficie touch ulteriore posizionata di fianco al tasto X/A, tuttavia il suo utilizzo mi è ancora ignoto, in quanto in nessun caso sono riuscito a produrre un input sia durante l’utilizzo dell’interfaccia che nei giochi. Probabilmente verrà attivata con un prossimo aggiornamento.
Nel complesso i nuovi Oculus Touch risultano molto comodi durante l’utilizzo, anche se l’aspetto risulta un po’ più tozzo e meno raffinato dei precedenti. Ma noi siamo delle persone che prediligono la funzionalità rispetto alla forma, no? Infine, resta immutato il bisogno di utilizzare una batteria AA per ogni controller.
OCULUS QUEST 2 COME SOSTITUTO DEL RIFT S: CI SIAMO QUASI
Come anticipato nella lunga introduzione, uno degli aspetti più interessanti del nuovo Quest 2 (ma anche del primo, da quando è uscito l’aggiornamento dedicato), riguarda la possibilità di utilizzarlo come visore per PC sfruttando la funzione Oculus Link, ancora in fase beta. Il fatto che la funzione sia ancora sperimentale non ci deve spaventare, in quanto il futuro tracciato è questo e Oculus intende percorrere questa strada, al punto che il Rift S dovrebbe essere l’ultimo visore della serie Rift: da ora spazio solo a visori stand alone con possibilità di collegamento al PC.
Questo aspetto aumenta senza dubbio il valore percepito del prodotto in questione, in quanto non più limitato ad un solo ambito d’utilizzo. Attualmente la funzione Oculus Link può essere utilizzate sfruttando una porta USB 3.0 e il cavo ufficiale o uno di terze parti. Ovviamente non potete sfruttare il cavo di ricarica presente in dotazione (accompagnato da un alimentatore a 10W) per poter fruire di questa funzione.
La proposta di Oculus ha lo stesso nome della funzione e viene offerta a 99 euro, un prezzo che può sembrare elevato per un semplice cavo, ma che viene parzialmente giustificato dal fatto di essere il migliore dal punto di vista tecnologico. Oculus Link (cavo), infatti, è realizzato in fibra ottica, elemento che gli permette di massimizzare la banda a disposizione, avere una linea separata dedicata alla ricarica alla massima velocità e ridurre al minimo la latenza.
Il mio test con Oculus Quest 2 collegato al PC è avvenuto con un cavo di terze parti, una delle tante soluzioni che è possibile trovare su Amazon. Il cavo in questione è costato 37 euro (quasi un terzo del Link) e mi ritengo soddisfatto delle prestazioni durante l’utilizzo dei titoli, anche se non è in grado di garantire alimentazione sufficiente a mantenere la carica del visore. Con una soluzione del genere arriverete a perdere circa il 20% all’ora, quindi avrete a disposizione circa 5 ore di autonomia (usandolo come visore stand alone siamo sulle 2 ore di autonomia, mentre il battery pack aggiuntivo permette di raggiungere le 4).
Personalmente trovo difficile immergermi in sessioni VR che possano superare le 2 ore, quindi il problema – almeno nel mio caso – non si pone, ma è bene valutare questo aspetto in fase d’acquisto. Un altro aspetto da considerare è la lunghezza: non scendete al di sotto dei 4-5 metri. Possono sembrare tanti, ma dovete considerare che la vostra altezza contribuirà a rendere inutile almeno 1,5/8 metri di cavo.
Un aspetto particolarmente interessante del sistema Oculus Link è il fatto che vi permetterà di utilizzare il Quest come visore da PC anche in assenza di una DisplayPort, ovvero il connettore video presente sul Rift S. Nessun problema se la vostra postazione da gioco è basata su un PC desktop, in quanto la vostra GPU avrà almeno un connettore DP, ma il discorso cambia se prendiamo in considerazione il mondo dei portatili da gaming, dove la DP a grandezza standard è praticamente impossibile da trovare, mentre la Mini DP è ormai avviata sul viale del tramonto.
Anche la questione DisplayPort su Type-C non salva la situazione, in quanto dovete essere sicuri che la porta in questione sia direttamente collegata alla GPU discreta, altrimenti potreste finire per collegarvi esclusivamente a quella integrata.
Insomma, Oculus Link permette di aggirare tutti questi problemi offrendo un sistema pienamente compatibile con il 100% delle soluzioni dedicate al mondo del gaming, lasciandovi maggior scelta in fase di acquisto dell’hardware. Nel mio caso, ad esempio, ho avuto modo di mettere alla frusta la RTX 2080 Super presente sul ROG Zephirus Dual che abbiamo in redazione, cosa che mi sarebbe stata impossibile con il Rift S, in quanto il portatile è sprovvisto di Display Port.
Nel corso della mia prova ho avuto modo di giocare per diverso tempo a Star Wars Squadrons – di cui uscirà a breve uno speciale dedicato proprio al motivo per cui è quasi obbligatorio goderselo in VR -, Beat Saber, Asgard’s Wrath e Stormland e in tutti i casi l’esperienza di gioco è stata di livello paragonabile a quella che si può fruire tramite il Rift S.
I tempi di risposta e la bassa presenza di artefatti sono accettabili, anche se non siamo ancora al livello offerto da una soluzione dedicata (la connessione diretta alla GPU fa la differenza), tuttavia questo si nota solo se siete in grado di effettuare il confronto diretto, quindi se avete già un Rift S o simili. In tutti gli altri casi potete andare tranquilli: se il Quest 2 è il vostro primo visore, svolgerà egregiamente il suo lavoro anche come visore da PC.
Peccato che manchi il supporto nativo all’utilizzo in modalità wireless, cosa che è possibile abilitare tramite procedure non ufficiali. Il Quest 2 utilizza un modulo Wi-Fi basato sul più recente Wi-Fi 6, migliorando notevolmente le prestazioni rispetto al primo Quest sotto questo aspetto. Tuttavia dobbiamo attendere il debutto di una versione Wi-Fi 6e per poter sperare di trovare il supporto wireless nativo, in quanto sarà solo con quella tecnologia che i tempi di risposta e la qualità del segnale potranno cominciare ad essere realmente confrontati con quanto possibile ottenere via cavo.
SI MA A COSA SERVE?
Conclusa la disamina hardware del Quest 2 resta solo una domanda: a cosa serve un visore di questo tipo? Restando relegati puramente all’ambito delle applicazioni native per il Quest, ad oggi fatichiamo a trovare la singola esperienza system seller in grado di giustificare da sola l’acquisto. Ma andiamo con ordine.
Il parco applicazioni dedicate al Quest è in continua crescita e le proposte per chi vi si avvicina per la prima volta sono davvero tante. Non parliamo solo di giochi, ma anche di vere e proprie esperienze virtuali interattive (come quella offerta dall’applicazione ufficiale della ISS, grazie alla quale possiamo esplorare liberamente l’interno e l’esterno della stazione spaziale internazionale e apprendere tante informazioni utili e interessanti), documentari, applicazioni per la visione di contenuti video sia in formato cinema che a 360 gradi (YouTube e Netflix), passando per delle vere e proprie chat virtuali .
In un mondo che tende a diventare sempre più legato al concetto di telepresenza e lavoro a distanza, la realtà virtuale può rappresentare un potente mezzo per azzerare le distanze e creare ambienti di incontro e di lavoro interattivi, dove è possibile avere l’illusione di poter stare fisicamente assieme, anche a migliaia di chilometri di distanza (discorso valido per la VR in generale).
Ad esempio, negli scorsi mesi ho avuto modo di prendere parte ad un evento Intel organizzato interamente in AltSpaceVR, dove sia il pubblico che i relatori non erano altro che degli avatar: descritta a parole può sembrare un’esperienza banale, ma una volta vissuta cambia completamente il vostro concetto di meeting virtuale. In quest’ottica il Quest 2 è sicuramente un’ottima porta di ingresso che risulta molto interessante proprio per la sua capacità di esistere anche senza un hardware esterno dedicato, anche limitandosi ad avere in casa un semplice ultrabook.
Ovviamente però la VR riesce ad esprimere il suo meglio in ambito ludico, grazie alla possibilità di creare mondi virtuali credibili, nei quali è l’esperienza di gioco ad essere protagonista e non il comparto tecnico. Nessuno dei giochi provati ci fa gridare al miracolo tecnologico – la base è pur sempre lo Snapdragon XR2 -, ma la cura con cui queste esperienze sono realizzate è davvero aumentata nel corso degli ultimi mesi.
THE WALKING DEAD SAINTS AND SINNERS: UN OTTIMO ESEMPIO
Un esempio su tutti è la versione Quest di The Walking Dead: Saints and Sinners, il quale ci permette di vivere in prima persona il viaggio di un sopravvissuto. Il gioco è incredibilmente immersivo e sfrutta alla perfezione il sistema di controllo Oculus Touch per permetterci di fare qualsiasi cosa: afferrare una bottiglia, spaccarla, conficcarla nel cranio degli zombi, o ancora spingerli via, afferrare un’arma a due mani per aumentarne la precisione, provare a mirare con la pistola – proprio come nella realtà – e molto altro ancora.
Di per sé si tratta di un titolo in prima persona che potrebbe risultare incredibilmente semplice e scontato se visto con i canoni dei tradizionali giochi 2D, ma diventa un’esperienza coinvolgente e emozionante si vissuta dal punto di vista dell’avatar che impersoniamo. Esplorare le case abbandonate, sentendo i passi e i versi degli infetti ha tutto un altro senso se lo facciamo immersi nella realtà virtuale.
Cito Saints and Sinners in particolare in quanto rappresenta esattamente il tipo di gioco single player che incarna alla perfezione il concetto di VR, essendo stato costruito attorno a questo mezzo. Fa piacere vedere che anche la piattaforma Quest sta cominciando a ricevere titoli di questa qualità, che vadano oltre il famosissimo e riuscitissimo Beat Saber, Vader Immortal, Echo VR, Tetris Effect, Solaris Offworld e così via. Al netto si ciò resta comunque vero quanto affermato all’inizio: ad oggi manca il vero system seller, l’Half Life Alyx del Quest, un titolo che sia in grado da solo di giustificare l’acquisto della piattaforma.
CONCLUSIONI: LA QUESTIONE FACEBOOK E LA MEMORIA
Prima di tirare le somme finali vorrei porre l’attenzione su due ultimi aspetti: la memoria a disposizione e l’obbligatorietà di avere un account Facebook. Oculus ha raddoppiato il taglio massimo portandolo a 256GB (costa 100 euro in più), mentre la versione base resta da 64GB.
Fortunatamente questa è la variante che mi è stata spedita, quindi posso riportarvi un’esperienza diretta: bastano 64GB? Si e no. La maggior parte dei giochi VR per il Quest ha un peso irrisorio, con tantissime produzioni che si fermano attorno ai 6-700MB e poche che raggiungono i 2-3GB.
In quest’ottica 64GB sono sufficienti e permettono di installare diverse decine di titoli e applicazioni (io ne ho installato 26 e ho ancora circa 20GB a disposizione), tuttavia bisogna tenere in considerazione che le nuove esperienze avranno un peso importante. La prima testimonianza ci arriva proprio da The Walking Dead: Saints and Sinners, il quale ha un peso che supera gli 8GB, quindi la risposta alla domanda iniziale è: 64GB vi bastano e avanzano con il catalogo attuale, ma potrebbero diventare stretti in futuro.
Se però siete intenzionati a sfruttare tanto la natura duale del Quest, quindi vi dividete tra esperienze native e giochi goduti direttamente da PC, i 64GB sono sufficienti a garantirvi di portare con voi i titoli che volete fruire in mobilità, lasciando che sia il PC ad occuparsi di quelli più complessi (poi esistono anche sistemi per effettuare il backup degli apk installati sul Quest, quindi volendo potete spostarli senza doverli scaricare da zero).
Discorso diverso per quanto riguarda la questione Facebook. L’azienda di Menlo Park ha infatti preso le redini in maniera ancora più netta del percorso di Oculus, stabilendo che da ora in poi è necessario l’utilizzo di un account Facebook per l’attivazione di ogni nuovo prodotto Quest 2 incluso, non senza qualche problemino iniziale.
Qui potete vedere la cosa un po’ come vi pare, nel senso che se odiate Facebook questo è il più grande deterrente all’acquisto del nuovo visore (non c’è proprio modo di aggirare questo obbligo), mentre se siete indifferenti alla questione non cambia nulla. I più maligni potranno pensare che questa sia un’ulteriore mossa dell’azienda per aumentare le fonti di dati a sua disposizione.
Al netto di ciò, Oculus Quest 2 resta comunque un ottimo visore che vale assolutamente il prezzo proposto ed esce assolutamente promosso da questa recensione. Come detto nella prima parte, non parliamo di un dispositivo che migliora in tutto il predecessore, almeno non per quanto riguarda alcune scelte in tema di qualità costruttiva. Se il primo Quest era un prodotto premium, la seconda versione diventa decisamente più popolare e pensato per il pubblico di massa.
Ottima la qualità del display e dell’esperienza d’uso generale, considerando sia il suo utilizzo in versione stand alone che come visore da collegare al PC, dove riesce a non far sentire la mancanza di un Rift S anche in titoli frenetici come Star Wars Squadrons. La formula proposta dal Quest 2 è senza dubbio la più completa e sensata del mercato, in quanto si tratta di un visore in grado di fare tutto e Oculus lo sa bene, visto che questa sarà l’unica filosofia che potrebbe essere portata avanti in futuro.
Tutti quelli che vogliono avventurarsi per la prima volta nel mondo della VR ora hanno un nuovo punto di riferimento: il Quest 2 è senza dubbio la spesa più bilanciata e razionale che potete fare per avvicinarvi a questa categoria. Se siete possessori di un Quest 1, l’aggiornamento è comunque consigliato, anche al netto dei piccoli passi indietro sugli aspetti citati. Il problema sarà rivendere il primo Quest, visto che il calo di prezzo di listino impatterà negativamente sulla rivendibilità del modello dello scorso anno.
Se invece venite dal Rift S, il passaggio al Quest 2 non è così scontato. L’esperienza d’uso resta ancora superiore sul visore nativo per il mondo PC, in quanto un semplice cavo USB 3.0 non è in grado di offrire le stesse prestazioni di una in grado di collegarsi direttamente alla GPU, tuttavia il divario è ormai minimo e la risoluzione quasi doppia potrebbe tentarvi seriamente. Magari potreste resistere sino al rilascio di una versione con Wi-Fi 6e, ma sappiate che il futuro di questo settore (almeno in casa Oculus) passa per i successori del Quest e non del Rift.
VOTO
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