I robot fattorini sono ormai una realtà: dall’Inghilterra agli Stati Uniti effettuano ogni giorno centinaia di consegne di cibo e di piccoli pacchi. Ma… siamo proprio sicuri che fili sempre tutto liscio?
Un divertente articolo pubblicato qualche settimana fa sul Wall Street Journal mette in luce alcuni curiosi retroscena sul nuovo tipo di rapporto che si sta creando tra queste macchine e gli esseri umani con i quali condividono l’ambiente urbano.
Spesa automatica. I robot fattorini sono dei sofisticati carrelli, refrigerati o meno, dotati di un sistema di navigazione simile a quello delle vetture autonome. Sono programmati per muoversi tra strade e marciapiedi e recapitare a domicilio il pranzo ordinato su Internet o la spesa dell’ultimo minuto.Sono in grado evitare gli ostacoli, attraversare la strada al semaforo, salire e scendere da un marciapiede utilizzando gli scivoli. Ma se qualcosa va storto?
Fannie Osran, una studentessa dell’Università di Berkley dove è operativa da qualche mese una flotta di questi robot, racconta al WSJ di essersi imbattuta in un fattorino elettronico che per evitare una scala era rimasto impantanato in un aiuola.
Intenerita, Fannie ha aiutato il robottino in difficoltà e lo ha rimesso in carreggiata. Lui, il robot, ha ringraziato la sua salvatrice mostrando dei cuoricini sul display.
Tenerezze a parte, questa storia apre un dibattito del tutto nuovo sul rapporto tra uomo e macchina, perché non sono più i robot a correre in aiuto degli esseri umani, ma è il contrario.
Bullizzati. «Questi robot sono del tutto indifesi e anche qui nel campus sono alla mercé di chiunque. Da chi li ferma per farsi i selfie a chi li vandalizza o, più semplicemente, li urta, li butta fuori strada e li lascia lì, con le ruote all’aria», racconta la ragazza.
E poi ci sono i problemi tecnici: il residente di un altro campus universitario dove sono operativi gli stessi robot ha assistito, divertito, a uno stallo tra 4 macchine che si sono incontrate a un incrocio. Nessuna riusciva a passare o a lasciare la precedenza a un’altra, fino a quando non hanno ricevuto l’aiuto di un umano che ha districato l’ingorgo.
Diventa quindi fondamentale per i costruttori lavorare sull’empatia dei robot, che devono riuscire a conquistare la fiducia e la simpatia delle persone con le quali condividono spazi e ambienti urbani.
Simpatia digitale. Non è un caso che Starship Technology, la start-up di San Francisco che ha sviluppato i robottini, abbia condotto dei test posizionando dei robot bisognosi di aiuto in varie zone della città per osservare le reazioni degli uomini.
Ne è emerso che gli uomini sono più propensi ad aiutare la macchina quando questa emette dei suoni, o dei lamenti, che indicano una richiesta di soccorso. Altre aziende puntano su un’interazione più evoluta, e stanno lavorando a robot in grado di chiedere aiuto, ma anche ringraziare per il supporto ricevuto.
La faccia del robot. Altri studi confermano che il design della macchina ha la sua importanza: i designer di KIWI, altra start-up del settore, hanno eliminato dai loro robot i grossi sensori laser che facevano assomigliare i loro carrelli a dei Terminator su ruote.
Ma c’è anche chi, come Alex Chen, un altro studente di Berkley, a dicembre dello scorso anno ha organizzato una veglia funebre con tanto di candele per uno dei robot “morto” durante una consegna, a causa di un incendio scatenato da un difetto della sua batteria al litio. Alla mesta cerimonia hanno partecipato oltre 60 persone.