Ho passato gli ultimi sei mesi senza utilizzare, o quasi, Google Search. Con cosa l’ho sostituito? E perché? Facciamo un passo indietro per ripercorrere l’ultimo anno e spiegare come sono arrivato a questa decisione: seguo da tempo, con un po’ di fascino, alcune community reddit come quella di “r/degoogle”, poco più di 120.000 membri, e “r/privacy” con invece più di 1.400.000 partecipanti.
Non sono molte persone, se pensiamo a quante utilizzano uno smartphone Android con a bordo i GMS (Google Mobile Services), un iPhone con Gmail, Maps o Drive ma anche un computer con Chrome o che comunque sfrutti i servizi di Google.
Insomma chi ad oggi possiede un dispositivo elettronico, che sia uno smartphone o un computer, è quasi scontato che utilizzi almeno uno dei tantissimi servizi gratuiti di Google, io in primis. Sono efficienti, gratuiti e non hanno mai problemi (come server down). In quelle due community di reddit poco sopra citate, al contrario, ci sono persone che non hanno mai sfruttato i servizi di Google o che hanno smesso di utilizzarli.
Mi sono avvicinato a queste due community in un’occasione particolare: il test di alcuni smartphone Huawei come il Pura 70 Ultra che ho recensito ad inizio estate ed un Huawei P60 Pro che invece uso personalmente da circa un anno per seguire gli sviluppi della HarmonyOS.
Sul Huawei P60 Pro che tengo sott’occhio non ho Google Services installati per vie “illecite”, ma ho deciso di sfruttare “F-Droid” e svariate alternative sia open source sia completamente indipendenti da Google. Onestamente spesso mi sono trovato di fronte ad enormi compromessi, spesso con qualche limite e più volte mi sono chiesto se ne valesse la pena.
Ma perché tante persone si vogliono “degooglizzare”? Ci sono svariati motivi, essenzialmente cinque che proverò a riassumere:
- Preoccupazioni sulla privacy: le pratiche di raccolta dati di Google ed il loro utilizzo. Google ha accesso alle nostre abitudini di navigazione e ricerca online, spostamenti, email, documenti, interazioni vocali e molto altro. Il Mio Google Search sa perfettamente i miei gusti (approfondiremo tra poco ciò).
- Dipendenza eccessiva: molte persone hanno paura di divenire troppo dipendenti dai servizi Google e rendere sempre più difficile il passaggio ad alternative, qualora le soluzioni di Google non siano in futuro più le migliori.
- Controllo sui propri dati: Uno dei trend del 2024 è, fortunatamente, sempre più il maggior controllo sui propri dati personali. Passando a servizi open source o gestiti da aziende no-profit, o comunque basate su differenti modi di sostentamento, si spera che ci sia un rispetto maggiore della privacy.
- Preoccupazioni etiche: Il modello di business di Google (come anche quello di Microsoft e tante altre aziende), basato sulla raccolta massiccia di dati per scopi pubblicitari, pone sempre più dubbi sull’eticità di tutto ciò.
- Diversificazione del panorama digitale: Molte persone decidono di abbandonare Google (passando anche semplicemente da Chrome a Firefox) per promuovere servizi alternativi ed evitare un ecosistema digitale sempre più monopolizzante. Più competizione significa più alternative e prodotti migliori.
Why are people buying pixels to just degoogle them?
byu/Stilllife1999 indegoogle
I Google Pixel sono i telefoni più amati da chi si vuole “degooglare” , un paradosso no?
Sapete quale è il telefono più acquistato da chi si vuole “degooglizzare”? Il Google Pixel! Un bel paradosso ma che viene giustificato dall’hardware: il Google Pixel è uno dei telefoni più sicuri in commercio. Incuriosito da tutto ciò ho proseguito la mia ricerca della “degooglizzazione”.
Se per il browser, o il motore di ricerca, era un gioco da ragazzi far fuori Chrome e Google Search lo stesso non lo potevo dire per applicazioni come YouTube, Maps o YouTube Music/Spotify/Apple Music. Le alternative a YouTube, privacy oriented e/o open source, sono praticamente inesistenti. Insomma il mio percorso di “degooglizzazione” non era ancora iniziato e già si era mezzo arenato.
INDICE
POCHE ALTERNATIVE, DOZZINALI O COSTOSE
Il primo grande problema della mia “degooglizzazione” è stata quindi proprio la carenza di alternative, o la pochezza di esse. L’unica vera alternativa, consigliata nelle community, a YouTube sono progetti come NewPipe. Che ricordi! La utilizzavo nel 2017 sul Razr XT910 per scaricare non troppo legalmente alcuni video da YouTube in MP3. La grafica era pessima, ora un po’ più minimale ma decisamente poco evoluta, e la metà delle funzioni era contro i TOS di YouTube (come scaricare i video).
Ma il vero problema è che la prima alternativa a YouTube è YouTube ri-carrozzato, un po’ come sostituire Chrome con Brave ma usare sempre Google Search come motore di ricerca. Così come l’alternativa a Spotify/YouTube Music sono SpoTube, SimpMusic o ViMusic, ovvero delle versioni minimaliste di Spotify/Youtube Music in versione premium, rimanendo ancora nell’illegale.
I’m considering uninstalling
byu/Seleusefudeuotario inNewPipe
I problemi non sono pochi con queste app terze basate su quelle originali di Google.
Parlando di mappe invece si inizia finalmente a trovare qualcosa di veramente gratuito, ma comunque scarno, come “Organic Maps”, basato su OpenStreetMaps. La grafica è davvero dozzinale, ricorda un TomTom del 2010, ma perlomeno la navigazione funziona bene ed offline. Non ci sono annunci, tracciamenti, raccolta dati, consuma pochissima batteria ed è open source. Ovviamente perdiamo il traffico e tantissimi POI: nel mio paese di circa 20000 abitanti in provincia di Roma mancano quasi la totalità dei negozi, anche catene grosse internazionali.
Da qualche giorno è stato rilasciato anche Private Maps di MapQuest, niente ads, nientra tracking, modalità anonima ed una grafica decisamente più curata (e ci sono più POI). Qui abbiamo anche il traffico e gli incidenti. Il costo per tutto ciò? 5,50€ a settimana. Tra l’altro in Italia ancora non è ufficialmente disponibile al download.
Per quanto la nostra privacy possa valere un’infinità di soldi, ipotizzo che quasi nessuno spenderà 5€ a settimana solo per le mappe e quasi nessuno passerà da Google Maps ad Organic Maps senza sbraitare per la grafica e le tante funzioni che mancano.
Ulteriori alternative: HERE We Go colleziona meno dati, ma qualcosa trattiene, e Magic Earth ha sì il controllo del traffico ma una grafica più scarna di Organic Maps (e pochi POI).
PARTIAMO DALLE BASI: SOSTITUIRE GOOGLE SEARCH
Sconfortato dalla enorme difficoltà iniziale nel sostituire alcune semplici app, mentre in quelle due sezioni reddit sembrava tutto rosa e fiori, ho deciso di iniziare dalle basi, sostituire l’unica funzione di Google che effettivamente stava iniziando ad essere inefficace: Google Search.
Per chi come me è nato a cavallo tra gli anni ’90 e ’00, a braccetto proprio con i primi computer alla portata di tutti e la crescita di internet, Google è sempre associato a quel motore di ricerca super affidabile, il migliore amico delle tue ricerche scolastiche, la soluzione a tutti i nostri quesiti. Non so voi ma gli altri motori di ricerca, quando si aprivano casualmente, li utilizzavo solo per cercare Google Search e tornare ad usarlo. Google Search sapeva sempre cosa mettere ai primi posti, cosa stavi realmente cercando, ed il tempo risparmiato rispetto agli altri motori di ricerca era incalcolabile.
Con il passare del tempo Google Search si è arricchito di tantissime funzioni, alcune utili ed alcune meno, ma negli ultimi anni ha preso una piega, o forse dovrei dire deriva, che non fa ben sperare. La parte di Shopping, con app dedicata (chiusa dopo poco tempo), è stata spostata principalmente in “Prodotti”, una tab separata di Google Search.
Ad oggi, quasi ad inizio 2025, se andiamo a scrivere un qualcosa su Google come “Profumo Vanigliato”, avremo come prima visuale uno spazio enorme dedicato agli articoli “Sponsorizzati”, una vera e propria sezione di shopping con siti che pagano per essere in prima pagina con tanto di offerte lampo.
E questa sezione di sponsor è dannatamente fatta bene. I profumi che escono sono quattro dei miei ultimi acquisti su otto. La metà dei prodotti mi interessa davvero, ed alcuni sono in offerta, un bel colore verde ed un font in grassetto che ti invita all’acquisto!
GOOGLE SEARCH COME I “CANALI DELLE OFFERTE”
L’efficacia nelle ricerche di Google degli anni ’00 ora la ritroviamo quindi nella sezione dello shopping sponsorizzato. Google ha spostato tutta la sua intelligenza nel capire cosa ricerchiamo alla sezione di shopping e cerca di proporcela sotto ads: ci guadagniamo noi che troviamo subito il nostro oggetto delle ricerche e ci guadagna lui intascandosi una bella percentuale (più soldi dei siti che pagano per essere in vetrina).
Non solo, perché scorrendo in basso i primi risultati sono tutti eshop esclusi due risultati editoriali. Di questi due editoriali uno è un contenuto genuino e che racconta i migliori recenti profumi vanigliati, l’altro è un accorpamento di cinque profumi inseriti in questa “TOP 5” con tanto di referral bello grosso in ogni dove e banner. Insomma su nove contenuti soltanto uno è editoriale, il resto è soltanto vendita, sponsor e referral.
Cambiando la richiesta i risultati migliorano leggermente, o peggiorano. Scrivendo “migliori profumi vanigliati” (ma potete provare con gli smartphone, televisioni o qualunque cosa vogliate) mi sono trovato di fronte ad articoli del 2023 con soltanto il titolo cambiato in “2024”, che Google spinge ancora in prima pagina perché magari sono articoli con una SEO ottimizzata e manipolata (quell’operazione per i quali i siti sfruttano alcune parole chiave per finire in home page, detto molto banalmente). In prima pagina ho solo un articolo del 2024 su dieci e due di questi risultati sono solo eshop buttati a caso.
Già nella seconda pagina di ricerca le cose cambiano e mi ritrovo di fronte a ben sei risultati su otto del 2024, e tutti tra l’altro molto recenti. Rimangono due eshop randomici e cinque prodotti sponsorizzati come immagini, tutti validissimi, recenti e che vorrei trovare nei contenuti editoriali che sto cercando.
LE “ALLUCINAZIONI” DELLE SPONSORIZZAZIONI E DELLA HOME PAGE
Il vero problema di questa “televendita” di Google Search è la sua inaffidabilità appena il motore di ricerca non conosce i nostri interessi. Google sapeva bene cosa mostrarmi in ambito di profumi vanigliati, dal momento che in cronologia ne ho diversi e ho visitato una marea di siti tramite Google per cercarli in passato. O almeno, Google ne sa abbastanza per mostrarmi delle sponsorizzate eccellenti ma contenuti editoriali non pervenuti su questi prodotti, se non andando in seconda, terza o quarta pagina.
Se infatti inizio a cercare oggetti casuali, qui inizia una vera e propria roulette russa. Niccolò mi raccontava che durante il Black Friday cercava una asciugatrice da massimo 50cm di larghezza: le sponsorizzazioni di Google erano pieni di risultati ma la maggior parte erano asciugatrici che andavano ben oltre i 50cm di larghezza, mere sponsor casuali, ed i contenuti scritti erano tutti “Top asciugatrici” o “Migliori asciugatrici sotto i 50cm” ma anche all’interno di essi non c’era traccia di asciugatrici sotto i 50cm.
Tutti quei siti avevano “manipolato” la SEO per essere in home page, piazzare comunque referral ed affiliazioni così che ci guadagna Google, ci guadagna il sito, ma tu rimani lì senza nulla in mano. Soltanto scorrendo oltre la terza/quarta pagina, di Google Search, si inizia a trovare qualche risultato valido, o andando direttamente sugli ecommerce e mettendo alcuni filtri.
LA PRIMA ALTERNATIVA A GOOGLE SEARCH
La prima alternativa che viene suggerita in quelle community di Reddit, citate poco prima, è ovviamente il cambiare motore di ricerca. Ne ho provati svariati in questi mesi, in primis ho cambiato il browser rimuovendo Chrome a favore di Zen Browser (una versione open source di Firefox) e Mullvad Browser (super privacy oriented). Mi trovo molto bene da due mesi, in passato ho sempre usato Brave Browser come browser principale (Chrome su Android, perché Brave su alcuni telefoni andava a 60Hz). Anche Brave era una delle soluzioni più consigliate, soprattutto per chi è abitutato alla base di Chromium.
Ho abbandonato Brave Browser dal momento che più volte sono capitati degli “incidenti” come quando vennero scoperti ad iniettare codici affiliati negli url di ricerca. Lo stesso vale per DuckDuckGo (vedasi tweet in basso).
Abituatomi ad un nuovo browser, usato però sempre in associazione a Google Search, ho deciso di fare uno step ulteriore e sostituire anche il motore di ricerca. Questo passaggio è il più difficile dei due, soprattutto per chi come me per l’appunto è nato con il mito di Google Search ed il ripudio di ogni altro search engine.
Le mie scelte erano tre: Brave Search, Startpage e Mojeek. Tutti e tre i motori di ricerca erano tra i predefiniti di Mullvad Browser, su Zen invece c’è il classico DuckDuckGo o Qwant. Qwant era uno dei candidati iniziali a sostituire Google Search, ma poi l’ho scartato.
This commit in @brave browser adds URL suggestions for things like exchanges, cryptocurrency searches, and hardware wallet websites that try to trick you into visiting links that contain Brave’s referral code.https://t.co/3nyl1eRIoF pic.twitter.com/PAZU6cy6fT
— Luke Childs ☂️ (@lukechilds) June 6, 2020
Brave aggiungeva alcuni suoi referral, come su Binance, come impostazione di stock.
LA “GOOGLIZZAZIONE” DEI COMPETITOR
In questo anno in cui mi sono interessato all’argomento, e quindi ho iniziato a seguire molte aziende e sviluppatori, ho notato un comportamento chiave: quando il business inizia a farsi grande tutte le aziende si “googlizzano”, puntano al profitto. Volente o nolente ogni azienda, se cresce troppo, deve avere alle spalle un sistema di mantenimento finanziario valido. I server, la ricerca, gli stipendi degli sviluppatori, tutto ciò non si paga da solo.
Sì, quasi tutti questi progetti privacy oriented e open source spesso hanno delle pagine per le donazioni, ma quasi nessun utente comune le farebbe mai, perlopiù qui in Italia dove “se è gratis è meglio”. Il problema è che quel gratis è solo una fase iniziale in questo grande processo: Brave e DuckDuckGo con i loro numerosi esempi sono uno dei più grandi casi.
This is shocking. DuckDuckGo has a search deal with Microsoft which prevents them from blocking MS trackers. And they can’t talk about it!
This is why privacy products that are beholden to giant corporations can never deliver true privacy; the business model just doesn’t work. pic.twitter.com/bzxw8vaxsy— Shivan Kaul Sahib (@shivan_kaul) May 23, 2022
Anche Qwant ultimamente ha integrato l’Intelligenza Artificiale e con essa un account obbligatorio da creare per sfruttarla e quindi la necessaria condivisione di alcuni dati con i partner. Qwant tra l’altro usa le API di Bing, come anche Ecosia che però ha un mix tra Bing e Google Search. Non ho citato a caso questi due motori di ricerca perché si sono ufficialmente uniti e nel 2025 puntano ad abbandonare Bing e Google. Un percorso valido ma anche esoso di risorse, rimarrà sempre tutto privacy oriented o ci sarà anche qui un lento declino?
Considerando che entrambi si basano sulle Ads, come anche Qwant e quasi tutti i motori di ricerca odierni, resta quel “conflitto di interessi” che purtroppo pare eliminabile solo con un piano a pagamento, come vedremo dopo con Kagi.
NON RIMPIANGERE GOOGLE SEARCH CON QUESTE SCELTE
Torniamo ora ai nostri motori di ricerca:
- Startpage si basa sui risultati di Google e Bing, ha una grafica ben curata, mostra gli ADS (e le sponsorizzate) quando apriamo la sezione immagini, mostra i video provenienti da YouTube, ha la sezione news, una shopping e le mappe (Google, Bing o MapQuest).
- Brave Search è indipendente, non si basa sui risultati di Google e Bing, ha una grafica ben curata e che ricorda molto Google Search per impostazione, ha una funzione Goggles per ottimizzare l’ordine della ricerca e una AI super efficace nel riassumere.
- Mojeek, come Brave Search, si basa su risultati proprietari, ha una grafica un po’ scarna, la ricerca delle immagini tramite Openverse è tendenzialmente inutile, idem la sezione news ma ha una AI integrata (basata su Mixtral) eccellente per riassumere (citando le fonti) e rischiare poche allucinazioni.
- Cito anche Qwant che, ok sì basa su Bing, ma ha una delle migliori impostazioni e grafica, è l’unico che durante i miei test ha messo contenuti organici editoriali in vetrina prima dei vari eshop. Parlerò dopo anche di Kagi, un costoso (ma eccellente) motore di ricerca da 25€ al mese.
LA MIA SCELTA PERSONALE:
Per me un motore di ricerca deve essere sì efficiente ma anche bello da guardare. Se mi si intrecciano gli occhi, non ho delle immagini di anteprima (ma anche banalmente i loghi dei siti) che spesso fanno già capire tutto, ed i colori sono da mal di testa non fa per me. Ho quindi eliminato Mojeek e Startpage (qui si possono aggiungere le iconcine dei siti con un’estensione FireFox, sfruttando DuckDuckGo, ma si perde il senso di tutto ciò alla fine).
Qwant l’ho eliminato per varie questioni: da mobile spesso mostrava la sezione sponsorizzazioni (derivazione Bing). Inoltre per l’AI richiede un account e la condivisione di alcuni dati. Brave Search, ad oggi, è la soluzione che più mi ha soddisfatto: risultati simili al Google Search “degli anni d’oro”, grafica curata, funzione “Goggles” per ottimizzare l’ordine di ricerca (e crearne di manuali) ed una AI riepilogativa che funziona bene e cita le fonti.
Inoltre non ci sono sponsorizzazioni e posso cambiare manualmente la mia posizione di localizzazione, per ottimizzare i risultati. Ci sono pubblicità, eventuali, come ormai anche sui progetti più indipendenti (come Mojeek) ma qui c’è la possibilità di pagare 5€ al mese per il Premium e rimuoverle completamente (prima si puntava al guadagno con le cripto, ma hanno praticamente fallito).
PAGARE… NON CI PIACE?
Vi ricordate dell’alternativa a Google Maps a 5€ a settimana? Aggiungete anche eventuali 25€ al mese per Kagi: probabilmente il miglior motore di ricerca “pulito” che ci sia ad oggi. Ho provato le 100 ricerche gratuite ed è fantastico, ma 25€ al mese (più tasse/iva) per la versione completa anche no, con gli stipendi italiani star dietro a tutti questi abbonamenti purtroppo è infattibile. Certo, è super personalizzabile, su iOS e Mac c’è anche un browser dedicato Orion dove è integrato di stock, ma il costo è elevato.
In ogni caso penso che se si vuole un prodotto realmente pulito l’unico modo per aver ciò sia tramite un abbonamento. D’altronde nessuno lavora gratis e se non ci piacciono le ads, le sponsorizzazioni e simili c’è un prezzo da pagare (dai 5 ai 25 euro al mese). Anche DuckDuckGo ha introdotto un piano “PRO” a ben 100€ l’anno, mica poco per funzioni in più sulla privacy, un qualcosa che già di base si dovrebbe garantire.
LA SECONDA ALTERNATIVA: L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Va bene, l’intelligenza artificiale all’interno dei browser è una figata. Che abbiate testato quella di Kagi, Brave o Mojeek ma anche Gemini all’interno di Google vi sarete resi conto di quanto ci semplifichi la vita. Quella di Mojeek, che riporta esattamente le fonti, è perfetta inoltre per effettuare un fact checking. E allora perché non rimpiazzare il browser proprio con l’intelligenza artificiale? Io l’ho fatto, con Perplexity AI (e grazie a Nothing che ad inizio 2024 ci ha offerto un abbonamento PRO di un anno, gentilissimi!).
Possiamo usarla gratuitamente? Sì! Possiamo usarlo senza un account? Sì (al momento)! Ci sono pubblicità? Ancora no (ma in USA ci sono follow-up sponsorizzate). Come si sostengono? Principalmente con il piano PRO che si paga 20€ al mese e dalle risposte follow-up sponsorizzate (mai viste in Italia e viaggiando tra Cina, Taipei, Hong Kong, USA ed Europa). Possiamo tenere i nostri dati privati? Tecnicamente sì (vengono raccolti ma non condivisi, tecnicamente).
Perplexity AI non è un semplice chatbot come Gemini o ChatGPT. Potremmo definirlo come un motore di ricerca basato sull’intelligenza artificiale. Basterà chiedere qualcosa ed otterremo un risultato riepilogato con tutte le varie fonti vicino al testo ripreso e rielaborato, così da poter fare un rapido e diretto fact checking. Non solo, perché le fonti sono anche riportate in alto, prima del testo rielaborato, così da poter dare anche lustro ai siti da cui è stato “rubato” il testo. E ci sono immagini, video e le immagini si possono anche generare.
Una cosa che amo di Perplexity, soprattutto in versione PRO, è che spesso è proprio lui a porci ulteriori domande, così da capire al meglio la nostra richiesta e rispondere in maniera precisa ed esaustiva. Ad esempio se chiediamo l’itinerario di viaggio per Barcellona potrebbe chiederci se andiamo da Roma via nave o aereo, così da ottimizzare il tutto, anziché tirare ad indovinare.
Perplexity integra inoltre un modello LLM proprietario, Claude 3.5 Sonnet, Sonar Large, GPT-4o, Sonar Huge, Grok-2 (quello di X) e Claude 3.5 Haiku. Se non ci piace come una risposta viene elaborata di stock, basta un tap e avremo una rielaborazione differente.
Ultimo ma non ultimo con Perplexity c’è una modalità incognito, la possibilità di allegare foto o file, fare ricerche accademiche (con solo articoli accademici pubblicati online), risolvere equazioni matematiche e simili, cercare discussioni e opinioni su Reddit o generare del testo offline. Queste modalità di ricerca che vi ho appena descritto si chiamano “Focus”.
Non manca poi una funziona di ricerca e dialogo vocale, un po’ come Gemini Live. A differenza di questo però non possiamo interrompere in tempo reale l’assistente, se non cliccando il tasto dedicato. Rispetto a Gemini Live però visualizziamo la risposta anche come testo temporaneo ed in alto a destra sono riportate sempre le fonti, così da capire da dove ha tratto ispirazione per il suo dialogo.
Infine c’è anche una sezione “Scopri” dove sono riportate news di tutti i tipi e da tutto il mondo, aprendole possiamo leggerle, vedere le fonti ed infine fare domande di follow-up. Una sezione “news” creata con l’AI interattiva. Tutte le nostre ricerche, se non fatte in modo anonimo, vengono salvate nella sezione “Libreria”. Nel caso di ricerche Pro c’è l’apposito logo che mostra come la ricerca si è sviluppata.
IL PROBLEMA DELL’AI E CONCLUSIONI
A tutti gli effetti una soluzione come Perplexity sembra perfetta: ha una versione gratuita ma anche una a pagamento (che dovrebbe sostenere anche quella gratuita). In futuro ci saranno alcune risposte di follow up sponsorizzate che però impatteranno meno delle sponsorizzazioni, ads e affiliazioni varie, dal momento che nei correlati saranno potenzialmente trascurabili.
E invece no, anche queste soluzioni hanno dei limiti, soprattutto in ottica futura: se le sponsorizzazioni non sono d’impatto, poche aziende ci punteranno ed il rischio che quindi diventino sempre più ingombranti o che si passi alle ads vere e proprie è concreto (come avverrà a breve con Gemini e OpenAI). I programmi a pagamento richiedono un prezzo elevato, e in pochi sono disposti a pagarlo.
Inoltre c’è un elefante nella stanza quando si parla di AI come Gemini, ChatGPT o Perplexity: e i meriti degli autori? Riportare le fonti come fa Perplexity è sicuramente un qualcosa di garbato e carino, ma non riconosce il lavoro di chi c’è dietro, a livello monetario. L’azienda ora sta lanciato un programma di “Sharing Revenue” ma che è focalizzato sui grandissimi colossi e questo rischierà penalizzare i “piccoli e indipendenti creator”.
Se già con Google Search era difficile trovare contenuti editoriali e per di più indipendenti, figuriamoci con l’AI che punta tutto a fonti “autorevoli”, “affidabili” e magari queste fonti fanno parte anche di un programma collaborativo. Più l’AI fa fuori i veri autori e più l’AI fa fuori se stessa, essendo basata sui contenuti degli autori. Fa ridere ma fa anche riflettere: ad oggi gran parte delle richieste che fate all’AI riprende pagine di siti web fatte a loro volta con l’AI. Il rischio di un pastrocchio è sempre più dietro l’angolo.
NON ABBIAMO QUINDI UNA VERA ALTERNATIVA O SOLUZIONE?
No, ad oggi una vera alternativa non l’ho trovata. Kagi, a caro prezzo, è sicuramente una delle più valide se non la più valida. Brave Search, per un costo più accessibile, è sicuramente un buon compromesso (ma l’azienda non perde mai l’occasione per mettersi negativamente in risalto). Tutti i piccoli competitor appena crescono (come Mojeek) sono costretti a ricorrere perlomeno alle Ads, per restare gratuiti, creando un conflitto di interessi.
Ad oggi forse la soluzione migliore, o il compromesso migliore, sarebbe l’integrazione di alcune AI, come Perplexity, all’interno di determinati siti web o eshop. Proprio l’azienda ha auspicato e punta a ciò:
Perplexity said the publishers will share in revenue generated from advertising when their content is referenced in AI-generated results.
They will also have access to its APIs and developer support to build features using its proprietary search technology, access to data and analytics to track trends and content performance, and receive free Perplexity Enterprise Pro for their staff for a year.
Insomma più che un motore di ricerca integrare tanti “mini motori di ricerca AI” all’interno dei siti web e fare delle ricerche direttamente in essi. In questo modo avremmo il meglio dell’AI, potremmo sostenere il sito web che fornisce i dettagli e le nozioni all’AI e ci guadagna l’AI stessa (e chi la sviluppa). Ovviamente è una spartizione che potrebbe accontentare tutti come nessuno, dal momento che ad oggi una soluzione perfetta non c’è.
Ma cosa ho risolto in questi mesi, testando tutte queste conclusioni focalizzate sulla privacy? Poco e nulla. Avrò sì dato meno dati a Google con le mie ricerche, ma vi scrivo comunque da un computer con a bordo Windows (di Microsoft), con sopra tante app che comunque pescano date qua e là, sfrutto le app di Meta come Instagram, che a livello di sfruttamento dati per le ads e sponsorizzazioni non è seconda a nessuno, insomma ho soltanto scoperchiato un enorme vaso di Pandora.
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