Fino a qualche tempo fa il sospettato numero uno era il deep web, quella zona franca della Rete, ignota ai più, dove si smercia di tutto, a partire dalle peggiori droghe. Da un po’ di tempo sembra però che il mercato dello spaccio si sia spostato più “alla luce del sole”, sulla Internet che tutti conosciamo.
A raccontare questo scenario è una ricerca condotta in parallelo da diverse università inglesi (University of London, University of Liverpool) e australiane (Griffith University, University of New South Wales, Curtin University, Burnet Institute) su di un panel monitorato di 358 tossicodipendenti che hanno usato varie app per procurarsi le sostanze abituali, o si sono dichiarati favorevoli a usarle, oltre a 47 interviste di approfondimento.
Dallo studio, pubblicato a fine 2018, emerge che i pusher (spacciatori al dettaglio) sono sempre più presenti nelle chat e sui social più diffusi. “La tendenza più recente – si legge – è l’uso dei social e di app di messaggistica criptata, come Instagram, Snapchat, WhatsApp e Wickr, per fornire e accedere a droghe illecite“.
Le app, in particolare, si collocherebbero a metà strada tra il mercato delle droghe online e quello di strada, in quanto offrono un metodo rapido, conveniente e sicuro per entrare in contatto con gli spacciatori – e senza troppa fatica, visto che molte di queste app sono preinstallate su quasi qualunque smartphone in commercio, con Snapchat, Instagram, Wickr e Kik (un’app simile a WhatsApp) a guidare la classifica della popolarità tra gli intervistati nel corso dello studio.
Come funziona. Instagram è spesso usato come un mercatino, dove si può individuare un rivenditore cercando e navigando tra i contenuti. Quando però si tratta di accordarsi, riporta lo studio, è più comune “passare a un’app di messaggistica criptata, come Wickr o WhatsApp, per stabilire un punto d’incontro fisico“. Le funzionalità di sicurezza integrate delle applicazioni possono fare la differenza nel modo in cui si utilizza un’app per questo scopo: “Snapchat, per esempio, fornisce una piattaforma per connettere acquirente e venditore con la possibilità di scambiare messaggi a eliminazione automatica“. In pratica, gli snap (i messaggi di Snapchat) si autodistruggono, senza lasciare traccia apparente sul cellulare.
Giocano un ruolo significativo anche le app di dating, con la complicità di emoji che, sui profili, avrebbero un significato recondito: “[…] le app di dating sfruttano i dati di geolocalizzazione dello smartphone per favorire gli incontri tra persone più o meno vicine; agli utenti fanno scorrere i profili alla ricerca di emoji per loro significative anche se non necessariamente esplicite […]” – per esempio, l’uso di emoji di foglie di acero indica “cannabis”.
Quali droghe? Le app sono usate per acquistare perlopiù cannabis, LSD e ecstasy, ma gira anche altro, per esempio Xanax (alprazolam, una benzodiazepina) o codeina (metilmorfina, un alcaloide) – farmaci facilmente accessibili su tali piattaforme: un fenomeno in crescita, a cui il Guardian aveva dedicato un’inchiesta nell’aprile del 2016.
Non sorprende, e lo studio lo mette in evidenza, che in generale si preferisca rifornirsi tramite app, social e simili perché ritenuti sicuri. Naturalmente si tratta di un concetto di sicurezza del tutto particolare, finalizzato solo alla possibilità di fare acquisti in anonimato con software come WhatsApp e Telegram, che dichiarano meccanismi di crittografia anti-intercettazione.
La realtà di queste tecnologie è più complessa ma, in ogni caso, in alcuni Paesi si sta correndo ai ripari con nuovi sistemi di regole coerenti con le leggi. Per esempio, nel Regno Unito, che secondo le statistiche detiene il poco invidiabile record dei consumi di ecstasy (MDMA) e di amfetamine (mentre alla Spagna va quello di cocaina), sono al vaglio norme che imporrebbero alle società e ai fornitori dei servizi di comunicazione la completa collaborazione con le forze dell’ordine, su richiesta della magistratura.
Lo studio rileva che, in generale, l’acquisto di sostanze attraverso persone note o amici è ancora la modalità preferita, perché sopravvive un certo grado di diffidenza verso l’offerta mediata dalle app. Tuttavia queste ultime sono ormai pervasive nella vita di tutti e – scrivono i ricercatori – “stanno rapidamente diventando un’opzione praticabile per l’accesso a farmaci e sostanze più elusive“. Una situazione che può essere almeno contrastata “demistificando le poco fondate convinzioni di sicurezza delle app, alimentate dalla facilità visiva della ricerca e dell’acquisto“.