Con Paolo Virzì alla sceneggiatura e con l’inedito ruolo di regista Checco Zalone dal 1° Gennaio tenta di fare un passo avanti
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Quando quattro anni fa Luca Medici (vero nome di Checco Zalone) ha annunciato che il suo prossimo film l’avrebbe diretto da solo, interrompendo la collaborazione con Gennaro Nunziante che andava avanti dal suo primo film, Cado dalle nubi, sembrava una decisione superflua, rischiosa, vanitosa. Invece l’uscita ora di Tolo Tolo dimostra che si trattava davvero della ricerca di una versione più sofisticata di quello scheletro che ha ripetuto nei suoi primi quattro film con impressionante e crescente successo. E la regia non è il solo segno di questo cambiamento, anche il fatto che l’attore, comico e sceneggiatore di maggiore successo dei nostri anni (e di gran lunga anche) abbia voluto un nome noto tanto quanto il suo come Paolo Virzì, più navigato di certo e con doti riconosciute nel fondere umorismo e una prospettiva più ampia, a coadiuvarlo nella sceneggiatura, punta nella direzione di un prodotto più raffinato.
E Tolo Tolo questo è: il tentativo di Luca Medici di emancipare il suo personaggio dal cinema più scassato, quello in cui la regia si limita a inquadrare chi sta parlando e illuminare in modo molto chiaro la scena così che nulla possa andare perduto, a uno con un’idea dietro. Il percorso è lungo e questo film è solo un primo passo, cioè è solo poco più sofisticato dei precedenti, ma un’evoluzione c’è e si vede. Specialmente all’inizio è facile notare come Tolo Tolo rinunci a nascondere la regia ma anzi parta da un flashback e asciughi tantissimo i tempi morti, con un montaggio che procede per piccole ellissi, piccoli salti al dunque della scena che contribuiscono un po’ a levargli di dosso quella paludosa colla in cui rimangono sempre impigliati i film comici italiani, quelli in cui nessuno pensa mai a usare le armi del cinema per dare un po’ di brio ma tutti si limitano a cercare di far ridere solo con la presenza e le battute del comico.
La storia è più o meno la solita: Checco Zalone è un individuo pessimo che somma in sé tutte le piccinerie, la vanità, le velleità e l’insofferenza per le regole che lamentiamo nel nostro prossimo e dopo un fallimento cocente scappa in Africa per non essere trovato e non pagare quel che deve al fisco. Lì si ritroverà in mezzo a diversi guai che lo trasformeranno in un migrante verso l’Europa nonostante non lo voglia. E a riprova della maggiore sofisticazione, le consuete canzoni che accompagnano sempre i film di Zalone stavolta sono integrate in modi molto più seri: sono dei sogni musicali che il protagonista ha mentre viaggia. Quasi sempre in forma di musical (quello in acqua il migliore), spesso coadiuvati da effetti speciali non da quattro soldi (come impone invece il regolamento non scritto del cinema comico italiano). Sono incubi di contaminazione, di Italia nera e di amore nero, gli incubi dell’italiano rispecchiato dalla politica.
Checco Zalone è e rimane un personaggio che incarna la maggioranza, e la sua comicità sta nel fatto che dice quel che tutti pensano. Non si vergogna di ciò di cui si vergognano (ma fanno) gli altri. Dell’evasione fa una filosofia di vita, del razzismo una necessità, del fascismo una forza che gli sgorga da dentro, dell’egoismo una virtù. Così tanti e così espliciti sono i tratti negativi che, anche qui come sempre, in Zalone tutti possono vedere un altro. È così appositamente sfaccettato da includere tutte le ideologie, l’ipocrisia di chi ha a cuore le condizioni di vita dei migranti ma per proprio tornaconto e il cinismo di chi non pensa che a se stesso, le frasi retoriche usate in quanto retoriche (“Non siamo animali ma uomini!”) e quelle retoriche usate a caso (“Prima gli italiani!” – “Ma che c’entra? Perché l’ha detto?” – “Così… a caso”). Si ride di lui che non rispetta le regole e si ride del fatto che in Italia le regole sono impossibili da rispettare. Il suo successo da sempre sta nell’essere rigorosamente contro tutti, prendere in giro tutto, migranti inclusi (ma sempre come esseri umani, perché cinici, scemi o furbi anche loro, e non per i problemi, veri, che hanno).
Il trattamento più duro spetta ovviamente alla politica, incarnata da un personaggio con dei tratti abbastanza riconoscibili e un percorso grottesco che attraversa tutto il film sullo sfondo. Un’altra delle molte soluzioni più audaci e sofisticate del solito, rese con un’insolita precisione e correttezza di scrittura (sarebbe cattivo e in fondo ingiusto dare il merito di tutto ciò che è buono a Virzì, di certo però la sua presenza ha aiutato). Del resto tutto Tolo Tolo è un film, per la prima volta, con un budget non solo alto ma evidentemente alto (lo era anche il film precedente solo che non si vedeva), confezionato a dovere, presentabile a tutti gli effetti e forse, visto l’argomento e l’umorismo cattivo, anche capace di trovare la sua strada nei mercati stranieri più simili al nostro.
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