Dalla pubblicazione della prima sequenza del virus 2019-nCoV comparso in Cina nel dicembre 2019, sono ormai decine le mappe genetiche a disposizione della comunità scientifica e le informazioni sono sufficienti per notare una forte somiglianza tra il nuovo arrivato e il virus della Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome), comparso anche questo in Cina e che risale al periodo compreso al 2002-2003. Appartengono entrambi alla famiglia dei coronavirus e usano la stessa arma per aggredire il sistema respiratorio umano.
La ricerca, che indica una somiglianza del 79,5% fra i due virus, è pubblicata da un gruppo di ricerca cinese coordinato da Peng Zhou, dell’Istituto di Virologia di Whuan, e pubblicata sul sito bioRXiv, che comprende articoli che non hanno ancora superato l’esame della comunità scientifica.
La sequenza genetica del virus 2019-nCoV isolato dal fluido prelevato dai polmoni di un paziente gravemente malato indica in particolare che il nuovo coronavirus 2019-nCoV ha lo stesso recettore isolato nel virus della Sars e chiamato Ace2. Sulla sua superficie, cioè, si trova una sorta di chiave che si adatta alle serrature che sono sulla superficie delle cellule del sistema respiratorio umano: il virus è in grado di aprile e di invadere le cellule per diffondersi.
E’ un risultato importante perché, se confermato, potrebbe dare indicazioni importanti sulle strategie migliori per affrontare il nuovo virus, ma soprattutto è arrivato con una rapidità straordinaria, impensabile ai tempi della Sars. “Un ritmo senza precedenti e incredibile”, ha rilevato il biologo molecolare Kristian G. Andersen, dell’Istituto californiano Scripps, sul sito britannico Stat.
Grazie a questa rapidità è già possibile sapere che il materiale genetico del nuovo virus isolato nella città cinese di Whuan è costituito da 29.903 basi: un altro elemento, questo, che avvalora la somiglianza fra il coronavirus 2019-nCoV e quello della Sars.
Un’analisi genetica basata su 24 sequenza indica infine che è avvenuta una “variazione genetica molto limitata”, ha osservato l’esperto di evoluzione virale Andrew Rambaut, dell’Università di Edimburgo. “Questo – ha osservato – è indicativo di un progenitore comune relativamente recente dei due virus”, al punto che potrebbe risalire a “un periodo non precedente il 30 ottobre 2019 e non successivo al 29 novembre 2019”.