Scott Kelly ha passato un anno in orbita, mentre il suo gemello – anch’egli astronauta – si trovava molto più giù. La sua lunga missione ha contribuito a scrivere una nuova pagina per la comprensione dei cambiamenti che avvengono nello spazio
Essere gemelli è già un’eccezione, ma essere gemelli ed entrambi astronauti è davvero un unicum assoluto. Buon per la Nasa: l’agenzia spaziale statunitense infatti ha valorizzato al massimo il duo composto da Scott e Mark Kelly.
Come forse ricorderete, nel 2015 Scott Kelly è partito per raggiungere la Stazione spaziale internazionale, per una vera e propria permanenza da record: ha vissuto per un anno in orbita, tornando dopo 340 giorni. Il fratello Mark, invece, è rimasto a Terra, di fatto diventando un ottimo soggetto per uno studio comparato.
In questo video, il giornalista di Wired Usa Robbie Gonzalez si confronta con la dottoressa Francine Garrett-Bakelman, tra gli autori della ricerca “The Nasa Twins Study: A multidimensional analysis of a year-long human spaceflight”.
La studiosa spiega quali sono le maggiori dritte che la permanenza e il ritorno di Scott Kelly sulla Terra hanno regalato agli studiosi. Naturalmente la Nasa ha già alle spalle decenni di studi sui cambiamenti fisiologici nello spazio, ma lo studio su Kelly è stato più esteso, comprendendo anche informazioni a livello molecolare e e numerosi altri parametri.
Alcuni cambiamenti erano prevedibili, e sono legati a quell’assenza di gravità che produce numerosi effetti sul corpo umano (la perdita di tono muscolare, ad esempio); altri invece, come l’allungamento dei telomeri (la parte terminale dei cromosomi) o il cambiamento dell’espressione genica hanno colpito maggiormente gli studiosi (che hanno analizzato i parametri anche al ritorno, per controllare in che modo e in quanto tempo tornassero alla normalità).
Ma Garrett-Bakelman spiega anche perché i risultati di Kelly non sarebbero generalizzabili per un altro astronauta, magari di sesso o etnia diversa.
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